Opinioni

Le attese dei giovani e la Chiesa. Ascolto e proposta

Paolo Viana giovedì 18 agosto 2011
Ni indignados ni resignados. Lo spagnolo è una lingua eufonica, che sovente comunica più di quel che dice. Con questa espressione – né indignati né rassegnati – l’arcivescovo di Toledo, Braulio Rodriguez Plaza, ci ha spiegato giorni fa cosa pensa la Chiesa spagnola del movimento M-15, gli indignados. A un dipresso, è ciò che pensa anche la Chiesa italiana quando chiede, con Bagnasco, di superare la crisi «in modo creativo e non distruttivo», quando nega che bastino «buone leggi e buone burocrazie» e soprattutto quando invoca «giovani che anelano a cose grandi e pulite», confessando il bisogno di «sentire che sono tanti, la maggioranza».Nel dibattito pubblico i numeri sono un argomento controverso, come dimostra la manifestazione di ieri sera a Madrid, con cui gruppi laicisti hanno tentato di intitolarsi il movimento di protesta spagnolo e imporgli un’innaturale sterzata anticattolica. Velleità piccine, di fronte alla marea umana che si è sollevata a Madrid e che oggi abbraccerà Benedetto XVI. Una massa sorprendente di giovani che non manifestano, camminano insieme; che non urlano, pregano; che non brandiscono cartelli e megafoni, ma si scambiano le bandiere in segno di amicizia. Che non insultano, si abbracciano. Se non fossero tanti si potrebbero liquidare come nostalgici baciapile. E invece sono centinaia di migliaia – lo testimonia persino il laicissimo El Pais che ieri mattina pubblicava in prima pagina una grande foto della misa masiva del cardinale Rouco Varela di martedì sera – talmente tanti da far sospettare anche agli anticlericali più retrivi di essere dinanzi a una maggioranza. Osservando questi ragazzi che cantano sotto il sole di Madrid, si immergono nel silenzio orante dell’adorazione eucaristica e ascoltano i loro vescovi in impegnative catechesi, si potrebbe credere di essere di fronte a una maggioranza di anime belle, cui basta una grande adunata per dimenticare il lavoro che non c’è, il mutuo che non verrà mai concesso, i troppi sogni che hanno già riposto nel cassetto. Eppure questa sarebbe una lettura superficiale, esattamente come quella di chi sostiene che tutti gli indignados siano anticattolici. Un errore che la Chiesa non fa. Non quella spagnola, che ha prestato ascolto al disagio perché, parole di Rodriguez, «all’inizio non sembrava poi male chiedere di cambiare le cose», ma non ha rinunciato a denunciare le strumentalizzazioni. Quest’errore non lo commette neanche quella italiana, che insiste sulla insufficienza di una risposta solo economica alla crisi – e così facendo boccia la linea dura degli indignados, la quale vagheggia di rottamare il sistema politico globale – e tuttavia, concordando sulla gravità della situazione, assegna alle giovani generazioni un ruolo che finora non hanno avuto. Nelle riflessioni madrilene del presidente della Cei e dei vescovi italiani ricorre un’attesa: la Chiesa incoraggia i giovani a essere protagonisti di un cambiamento spirituale e culturale senza il quale nessuna soluzione «tecnica» potrà reggere. Un’attenzione non nuova – affonda le radici nel pontificato di Giovanni Paolo II, che «inventò» la Gmg proprio in questa prospettiva – ma che oggi la Chiesa italiana coltiva con particolare cura, come testimonia la scelta di dedicare questo decennio all’educazione.Una preoccupazione domina su tutte: quella di ascoltare le domande di significato e di protagonismo che arrivano dal pianeta giovani, per proporre la fede come una possibilità da sottoporre al vaglio dell’esperienza personale di ciascuno. Non un pacchetto di risposte preconfezionate, non una magica soluzione «chiavi in mano» ai dubbi e agli interrogativi che animano questo mondo. Ma l’offerta gratuita di quello che la Chiesa ha di più caro: Gesù stesso.Qualcuno pensa sia una sorta di terza via. È molto di più: è una speranza che si fa alternativa realistica alla pura indignazione e a ogni rassegnazione.