Perché intesa anglo-italiana e non Ue?. È in arrivo un «Tempest»
Pochi giorni fa il governo e Leonardo hanno aderito al progetto Tempest, vale a dire lo sviluppo di un caccia multi-ruolo di sesta generazione promosso dal Regno Unito per sostituire negli anni a venire gli Eurofighter Typhoon in forza alla Royal Air Force. Questo progetto dovrebbe essere la risposta al progetto franco-tedesco, il Future Combat Air System, annunciato lo scorso anno e che recentemente ha visto anche l’adesione da parte della Spagna. L’adesione al progetto Tempest da parte italiana, da molti osservatori del settore è stato considerato la naturale prosecuzione di rapporti industriali tra Italia e Regno Unito in ambito militare che esistono oramai fin dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso e di cui la società leader nella produzione di missili Mbda (di cui Leonardo detiene il 25%) rappresenta l’esempio più evidente. È quasi inutile dire, quindi, che questo accordo è stato salutato con grande entusiasmo ma – come sovente accade in questi casi – senza che si sollevasse alcuna voce critica o quantomeno dubitativa in merito all’opportunità di questa operazione arrivata peraltro in giorni di passaggi di consegne tra il nuovo e il precedente governo e mentre Roma sta riannodando i rapporti (fondativi della Ue) con Berlino e Parigi.
Sebbene questa rinnovata partnership possa apparire un’operazione appetibile dal punto di vista industriale, non si può dire lo stesso dal punto di vista politico. In linea generale, la cooperazione nell’industria militare e gli scambi a livello globale di armamenti seguono tradizionalmente le alleanze politiche e nel contempo le rafforzano. In parole più semplici, accordi industriali in ambito militare rendono i Paesi più "vicini" dal punto di vista politico. Questo è il semplice motivo per cui un accordo di questo tipo potrebbe costituire di fatto un serio ostacolo da parte italiana a un’ulteriore integrazione europea. Come molti sostengono da anni, l’Unione Europea non riuscirà realmente a divenire coesa e capace di parlare con una voce sola a livello globale fintantoché non vi sarà una politica comune per la difesa e la sicurezza. Nel dicembre del 2017, non a caso, il Consiglio della Ue aveva adottato la decisione di istituire la cooperazione strutturata permanente nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune. In quell’occasione, tuttavia, era stato già evidenziato su queste pagine che l’aspetto problematico della decisione del Consiglio fosse costituito dal fatto che non si facesse riferimento all’industria e al mercato europeo degli armamenti in cui le imprese produttrici in competizione sono spesso di proprietà statale.
In breve, una politica di difesa comune reale non potrà attuarsi senza una vera e propria politica industriale in ambito militare coordinata tra i Paesi europei.
Per questo motivo è giusto porsi più di un quesito in merito all’opportunità di aderire da parte italiana a un progetto industriale con un Paese che si trova in un processo, per quanto confuso, di uscita dall’Unione Europea. Bene avrebbe fatto probabilmente il Governo di Roma ad attendere gli esiti della Brexit soprattutto in un momento di controsvolta filo-Ue, dopo che la scelta europeista era stata messa in dubbio dal precedente governo. La decisione di aderire al progetto Tempest, purtroppo, sembra essere stato dettata più da esigenze di breve periodo di Leonardo e di altre imprese del settore aereo-spaziale che non da una visione più ampia in merito al posizionamento dell’Italia in ambito europeo e globale. Questo approccio incurante per alcuni aspetti di esigenze strategiche e politiche di lungo periodo sarà purtroppo prevedibile fintantoché le imprese produttrici di armamenti saranno aziende orientate al profitto e finanche quotate in Borsa. Nel caso di imprese e gruppi di proprietà statale come Leonardo, laddove non si decida nel senso di una privatizzazione, dovrebbe considerarsi seriamente l’ipotesi di un de-listing per evitare che gli amministratori, pur nominati dai Governi, abbiano l’incentivo ad assumere decisioni che potrebbero essere non in linea con le esigenze politiche e strategiche del proprio Paese. In linea più generale, è arrivato il momento di ripensare la natura delle aziende produttrici di armamenti, introducendo a livello internazionale nuove regole e nuovi vincoli per questo mercato la cui evoluzione ha un impatto diretto non solo sul futuro dell’Unione Europea ma anche sulla democrazia e la pace a livello globale.