Chiesa e il nodo che stringe Sud e Nord. Aree interne
«Mezzanotte del Mezzogiorno?». È il punto di domanda a tenere in vita la speranza che non tutto sia ancora perduto, che non cali il buio completo sulla più distesa zona d’ombra del Paese.
Non il Mezzogiorno così come lo conosciamo di più, quasi una filastrocca che impara a memoria chi appena si accosti alla sua dimensione sociale: spreco di energie del territorio, carenza di infrastrutture, mancanza di lavoro e le tre piaghe della malavita organizzata, mafia, ’ndrangheta e camorra. Tutto questo è già (brutta e stagnante) acqua passata.
Perché, anche sotto la stessa latitudine continua a esserci almeno un altro Sud del sud, quello schieramento di retrovia delle 'aree interne', fatto di piccole (e nascoste) patrie di 'pietre antiche' che la modernità sembra aver riscoperto a proprio uso e consumo: se non altro che come suggestive soffitte dei ricordi di una vita che ha cambiato irrimediabilmente ritmo e registro. E allora che fare?
Rassegnarsi a una contemplazione nostalgica (e magari ammirata) di paesipresepi, rimasti a guardia, come fermo immagine di un mondo passato? O provare a farsi sentire, a segnalare ancora la propria presenza per dire che c’è vita – anzi: buona vita – anche oltre la siepe di uno sviluppo che, quando e come ha potuto, si è fatto strada tutto a valle?
«Mezzanotte del Mezzogiorno?» da lettera, per lo spessore dei contenuti, è ora diventato un documento. Poco più di anni fa è stata consegnato nelle mani di Sergio Mattarella. Il capo dello Stato incontrò al Quirinale una delegazione di vescovi, che furono poi ricevuti, in ottobre, anche dall’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte. La lettera porta la firma di sei pastori di diocesi – Benevento, Avellino, Cerreto Sannita-Sant’Agata dei Goti-Telese, Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia, Ariano Irpino-Lacedonia e Montevergine – che vedono il mare e le grandi aree urbane alla lontana e hanno sott’occhio il progressivo e inarrestabile spopolamento dei tanti 'paesi dell’osso' che, quasi come negozi di città, rischiano di abbassare la saracinesca oltre che al residuo di attività, anche alla propria storia. Già per molti di essi la funzione è quella di musei a cielo aperto, e non chiamano turisti, ma semplicemente 'visitatori' gli ospiti che si spingono dalle loro parti. È una parte di Paese dimenticata, posta tra una parentesi difficile a chiudere, tanto più dopo i colpi di una pandemia che, accanto ai lutti e agli altri suoi disastri, ha imposto il paradosso del distanziamento fisico in luoghi afflitti e segnati da un distanziamento sociale e naturale.
Anziani a presidiare piazze, strade e vicoli ordinariamente vuoti. Giovani a cercare lavoro e fortuna altrove. Un ciclo che dura ormai da troppe generazioni.
Solo in Campania, ogni anno, è come se un intero paese, sui cinquantamila abitanti, scomparisse dalla carte geografica. E dire che proprio dalle Province dell’entroterra viene il maggior numero di laureati nella Regione. Quella lettera, con l’interrogativo a tenere in vita le speranze, non è quindi rimasta inevasa. Ha varcato, anzi, altre parti del Paese, poiché di 'aree interne' è pieno non solo il Mezzogiorno. E allora saranno oltre trenta i vescovi di tutt’Italia che, all’inizio della settimana prossima, per due giorni, si riuniranno a Benevento per riprendere il filo di un discorso che riguarda da vicino la pastorale di queste Chiese. «Non può essere la stessa di quella destinata alla grande città», avverte il vescovo della diocesi Sannita, Felice Accrocca.
«Molto spesso – aggiunge – sentiamo parlare dei problemi della catechesi ma per noi, Chiesa di periferia, il vero problema è non avere ragazzi, perché nelle nostre zone, giovani non ce ne sono quasi più». Chissà se questo che appare un 'gemellaggio di povertà' tra il Nord e il Sud delle aree interne, non porti per le vie brevi a quelle forme di maggiore coesione e solidarietà tra le diverse aree del Paese, quasi tutte, e in particolare nella dorsale appenninica, con storie di rovinosi terremoti alle spalle. La Chiesa intanto ha preso l’iniziativa.
Neppure il rischio di un nuovo grido disperso nel deserto, poteva farla desistere dal suo dovere di testimonianza. E non sarà certo la semplice denuncia a mettere in pace la coscienza. Non è vita residua quella che scorre tra i silenzi e i vuoti di paesipresepi chiamati quasi a far da comparsa e da ornamento all’esistenza reale. Si tratta semplicemente di una condizione inaccettabile. E non può certo bastare che la Chiesa faccia la sua parte. Anzi, l’aggiorni, perché è chiaro che la sua azione e il suo operare – in una parola la sua linea pastorale – non può che essere rapportata alle esigenze del territorio. Non si può rischiare che una 'Chiesa in uscita', per la progressiva assenza della comunità – la sua materia prima – diventi alla fine una 'Chiesa in fuga'.