L’intesa con tutte le parti sociali non c’è. Non ancora perlomeno. Ma non c’è neppure la rottura clamorosa. Anzi, si registrano passi avanti: la Cisl ha già espresso un giudizio positivo, la Uil chiede qualche correzione per dire sì. Piccole e grandi imprese danno via libera. La Cgil no, non ci sta: non accetta alcuna riforma dei licenziamenti. Nessuno però forza la mano: ci sono altre 48 ore. Poi si chiuderà comunque.La scelta annunciata dal presidente del Consiglio di stilare un verbale conclusivo alla fine del prossimo incontro con le parti sociali – evidenziando i punti sui quali sindacati e imprese sono d’accordo e quelli invece sui quali si registra un dissenso – può rivelarsi intelligente e funzionale. Soprattutto chiama tutti i soggetti ad assumersi in maniera trasparente le proprie responsabilità. Niente giochi tattici né "prendere o lasciare". Niente supplenze improprie. Le parti sociali si confrontano, evidenziano limiti e opportunità, mediano. Ed esprimono il loro giudizio senza però avere il potere di porre veti paralizzanti. La politica si riappropria pienamente della prerogativa di fare le leggi. E toccherà ai partiti allora dimostrare di saper esercitare quella rappresentanza generale che il nostro sistema politico assegna loro. Evitando scontri ideologici e tensioni sociali esiziali per il Paese.Nel merito, la riforma andrà analizzata quando i testi su ammortizzatori sociali e forme contrattuali saranno definitivi. Ma la nuova ipotesi che prevede il reintegro per tutti i lavoratori licenziati in maniera discriminatoria, anche di piccole imprese – prevedendo invece il solo indennizzo per i licenziamenti "economici" e la scelta lasciata al giudice nel caso di quelli disciplinari – potrebbe riassegnare all’articolo 18 la sua funzione originaria di tutela davvero generale, di civiltà. Evitando di farlo scadere nell’inamovibilità del lavoratore e in una concezione "proprietaria" del posto di lavoro.