La fine del patto giallo-verde. Archiviata la quasi-crisi, responsabilità tutte intere
L’archiviazione tattica di questa ennesima 'quasi crisi' di governo non copre i nodi politici che sono comunque venuti irrimediabilmente al pettine. Dopo il voto europeo, il patto originario M5s-Lega si è dissolto. Dalla notte del 26 maggio Matteo Salvini vede dinanzi agli occhi un ghiotto en-plein: premiership, governo e peso decisivo nell’elezione del prossimo inquilino del Quirinale.
Ma da quella stessa notte la vecchia sfacciataggine pentastellata, obtorto collo, si è piegata all’istinto di conservazione, alla necessità di mettersi al riparo da un fragoroso crollo politico ed elettorale cercando ombra presso gli 'ex nemici': l’Europa, il Colle, la Bce. Due dinamiche opposte e contrarie che prima o poi sono destinate a creare una collisione traumatica. Ma prima la minaccia della procedura d’infrazione europea per debito eccessivo, poi lo scoppio del 'Russiagate' – che al momento non ha posto a Salvini problemi di consenso interno, bensì problemi d’immagine in costante aggravamento a livello internazionale – hanno rallentato la resa dei conti finale. Con il risultato che la famosa 'finestra' per il voto anticipato a settembre si è ormai chiusa.
A interpretare gli umori del Quirinale, la prossima 'finestra' elettorale, attingendo alle ragioni del buon senso e della responsabilità, si apre a inizio 2020, dopo il varo della Manovra economica. Non prima. Ma il leader della Lega lancia messaggi diversi: per lui, lo ha detto apertamente, le finestre sono «sempre aperte».
E per chiuderle definitivamente pone delle condizioni semplicemente devastanti per M5s: mettere il silenziatore al premier Conte, limitarne l’autonomia in Europa, mandare via i 'ministri del no' ( Toninelli, Trenta, Costa...), siglare le intese per l’Autonomia. Chi vuole archiviare davvero una 'pre-crisi' non cerca l’umiliazione dell’alleato. Per questo motivo, nonostante la fragile tregua di questi giorni, resta in piedi uno scenario che è ancora più avventuroso del voto a settembre: quello di una crisi in autunno, nel cuore della sessione di bilancio, l’innesco di una lite potenzialmente utile a Salvini, ma non al Paese.
Il leader della Lega potrebbe urlare al mondo che Conte, Di Maio e Tria, con il sostegno di Mattarella e della neopresidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen – candidata che il Carroccio ha respinto quando invece sembrava pronto a dire 'sì' – vogliono aumentare l’Iva e bloccare la sua Flat tax. Salvo colpi di scena - per nulla facili e allo stato delle cose non probabili, sebbene in sede europea M5s si sia ritrovato fianco a fianco con Pd e Fi – la miccia della campagna elettorale verrebbe così accesa nel campo minato dei conti pubblici italiani. Con la conseguenza quasi ovvia che a fronte di una Manovra in alto mare, con il rischio dell’Esercizio provvisorio, il capo dello Stato non potrebbe che chiedere un sussulto di responsabilità al Parlamento.
Già è possibile sentire la voce di Salvini che tuona contro l’Europa, contro trame di Palazzo e inciuci, contro M5s, Pd, Fi. Contro lo stesso Mattarella. Va detto sin da ora, con largo anticipo, che una scelta del genere non solo sarebbe politicamente cinica, ma rappresenterebbe una fuga dalla responsabilità. Una fuga comoda in un Paese confuso, in cui un gran pezzo di elettorato da anni vaga politicamente alla ricerca di un Eldorado che semplicemente non esiste. Senso di responsabilità, dunque, vorrebbe che chiusa l’attuale 'pre-crisi' si assicurasse al Paese una fase di relativa stabilità e serenità, almeno sul fronte dei mercati e della tenuta dei conti pubblici, dopo la quale, eventualmente, regolare i troppi conti in sospeso.
Senso di responsabilità vorrebbe che fossero M5s e Lega a farsi carico della difficile composizione della prossima legge di bilancio, stretta tra aumenti Iva e troppe promesse di maxi-riduzioni fiscali. La legittima ambizione di Salvini di 'passare all’incasso' dovrebbe incrociare l’interesse nazionale. E i mesi di attesa potrebbero essere ben spesi dal leader della Lega: anche e soprattutto, per diradare le ombre sulla sua linea di politica internazionale. Perché in fondo, dal 'Russiagate' e da altri torbidi rivoli, emerge una domanda che sovrasta le altre: con quali alleanze geopolitiche Salvini si candida a guidare l’Italia? Per portarla dove e assieme a chi?