Cattolici e politica. Aprire una «terza fase» lontano dalle scorciatoie
Con i suoi meditati appelli all’impegno pubblico dei cattolici, il cardinale Gualtiero Bassetti pare voler disegnare un percorso di medio-lungo periodo che – superata anche l’esperienza dell’inserimento nei vari partiti seguita alla grande stagione unitaria – sembra preludere a una 'terza fase', si spera feconda. In questo senso va letto anche un passaggio dell’intervento alla Veglia di preghiera per l’Italia, celebrata giovedì 7 giugno a Roma. Quello in cui il presidente della Cei esorta ad «avviare nuovi processi, senza preoccuparsi di occupare spazi di potere» e a «elaborare nuove 'idee ricostruttive' per la democrazia del nostro Paese». Escluso, o comunque molto difficile, che si possa oggi assistere a una riedizione della prima fase (l’unità dei politici, appunto), come vanno dunque interpretate le sue parole? E che cosa significa, in particolare, l’invito all’inaugurazione di nuovi processi, senza la preoccupazione di occupare spazi? La risposta, probabilmente, non va ricercata tanto in formule preconfezionate quanto piuttosto in un cammino tutto da fare, del quale lo stesso Bassetti sta indicando i principali punti di riferimento. La prima bussola è la storia del movimento politico cattolico, perché non si parte certo da zero. «Guardate al passato per costruire il futuro – scriveva a gennaio scorso nella prolusione al Consiglio permanente –. Guardate a una stagione alta e nobile del cattolicesimo politico italiano. Prendete come esempi uomini e donne di diverso schieramento politico che, nella storia della Repubblica, hanno saputo indicare percorsi concreti e interventi mirati per affrontare le questioni e i problemi della nostra gente».
Insieme alla storia, la seconda imprescindibile bussola è la dottrina sociale della Chiesa, che guidò appunto quei protagonisti. Alla fine di maggio, nella conferenza stampa di chiusura dell’Assemblea generale dei vescovi, Bassetti ne ha offerto un lucido quanto efficace compendio anche per orientarsi nel nuovo quadro della politica italiana all’indomani delle elezioni del 4 marzo 2018. La stella polare dell’impegno dei cattolici, ha ricordato, è «il lavoro da garantire attraverso la piena occupazione; il giusto salario; la previdenza; l’assistenza sociale e sanitaria; l’istruzione, una progressività fiscale» che significa «non 'tagliare' in generale, ma sulle fasce che debbono essere tagliate, con una maggiore tassazione sulle attività speculative». E ancora: «La lotta contro ogni forma di illegalità; l’inclusione di quanti vivono ai margini della società; la partecipazione alla cittadinanza della vita politica e sociale».
Un elenco di valori che guarda caso coincidono con quelli della nostra Costituzione («una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo», scriveva Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus) e una mappa orientativa per le cose da fare. Per le quali ci sarà bisogno di uno sforzo attuativo di fantasia, di competenza e di responsabilità da parte di tutti: i semplici parrocchiani, quanto i membri delle realtà del laicato aggregato, i singoli intellettuali quanto le realtà accademiche, i pensatoi culturali e teologici, così come il grande e variegato mondo dell’impegno sociale. Con l’avvertenza fondamentale – sono sempre le parole del cardinale al termine dell’Assemblea di maggio – che «se non si trova una forma per esprimersi insieme, si rischia di essere inefficaci» o «irrilevanti». Notazione per altro ripetuta il 7 giugno scorso a Santa Maria in Trastevere.
Per i cattolici si potrebbe aprire così un duplice «processo». Uno più orientato alla riflessione sul presente, per rispondere alla domanda di fondo dell’attuale fase parlamentare: il 'contratto di Governo' è compatibile, e quanto, con i princìpi della dottrina sociale della Chiesa già ricordati? E un altro di medio-lungo termine che miri alla costruzione di un’alternativa credibile al 'pensiero' politico di chi offre soluzioni semplici (o meglio semplicistiche) a problemi complessi, di chi riduce tutto a facili slogan ripetuti ossessivamente fino a farli diventare verità incontestabili e foriere di voti, di chi in sostanza mira alla pancia più che alla testa e al cuore. In ogni caso si tratta di processi che, appunto, «non occupano spazi», ma si caratterizzano piuttosto per una tenace, creativa, costante costruzione (e, quando è il caso, obiezione e opposizione civile) da attuare innanzitutto con la testimonianza di vita. Genitori pensosi del futuro dei propri figli, educatori a 360 gradi, lavoratori infaticabili e competenti, ognuno nel suo ambito, architetti sociali capaci di ridare 'dal basso' forza e vitalità alle regole della nostra democrazia, uomini e donne aperti all’accoglienza e alla solidarietà. In definitiva attori di una nuova politica non più politicante, ma effettivamente vicina ai bisogni del popolo, a partire dai più poveri, senza farsi attrarre, o anche solo lasciarsi trascinare, verso pericolose scorciatoie populiste.