La prolusione del cardinale Bagnasco alla 60ª assembla della Cei aperta ieri ad Assisi ci offre un confortante e attraente esercizio del giudizio di fede sulla coscienza ecclesiale, sul suo compito storico, e sulla vita civile del nostro Paese. Una Chiesa sempre più consapevole dei suoi propri scopi è con ciò stesso aiuto, offerto alla Nazione in cui vive, a cogliere ciò di cui ha bisogno per essere se stessa. Così facendo, «la nostra Chiesa non presume di sé, punta solo a essere fedele » e perciò a «risultare – come il Vangelo esige – lievito e luce per la società». La Chiesa non presume, perché non ha come scopo se stessa, ma la comunicazione con parole e fatti dell’evento di salvezza per gli uomini: quanto più è fedele al suo mandato, tanto più aiuta gli uomini a comprendere se stessi, la loro umanità, le condizioni stesse della loro socialità. Un termine ricorrente della prolusione è «gente». A proposito del recente Sinodo sul-l’Africa, il presidente della Cei afferma che «il dinamismo ad gentes resterà un dato qualificante l’intera nostra pastorale, una visione di Chiesa che si traguarda sempre con gli altri, e mai senza di loro»; così come «dal punto di vista etico-culturale desideriamo che i nostri cristiani si sentano cittadini del mondo, corresponsabili della sorte degli altri » . L’Anno Sacerdotale in corso ricorda, a sua volta, che «i nostri sacerdoti sono mandati a tutti, destinati a tutti [...]», perché «essere prete è la vocazione di chi sta accanto alla propria gente come testimone di misericordia». La Chiesa, dunque, sta presso la gente, proponendole una misura larga e profonda della vita, con cui essa possa «imparare a godere realmente» della vita stessa e a proteggersi da immagini di una «cultura irreale» e alienante. All’occasione della nuova edizione italiana del Rito delle Esequie, la prolusione s’intrattiene sull’impoverimento dell’idea della morte, la sua riduzione privatistica, la sua sparizione sociale, in nome di un’immagine della vita «falsa» e «irreale», che chiude la cultura sociale ai grandi interrogativi e a ogni prospettiva di senso. La comunità cristiana non può avvallare una tale cultura, perché «la luce della fede – dice Bagnasco riferendosi al primo discorso di Benedetto X-VI all’episcopato italiano – ci fa comprendere in profondità un modello di uomo non astratto o utopico, ma concreto e storico, che di per sé la stessa ragione umana può conoscere » e che la Chiesa lo ricorda non «per l’interesse cattolico » , ma per amore all’uomo creatura di Dio. È con questo criterio che la Chiesa interviene nelle grandi questioni etiche oppure si preoccupa di posizioni assunte da certa burocrazia europea – come nella recente sentenza sul crocifisso –, che non badando al valore e allo spessore di tradizioni religiose e culturali, finisce in realtà per allontanare «sempre più dalla gente» l’Europa. Ancora, e con particolare attenzione, il presidente dei vescovi italiani si occupa del diritto della «gente con i suoi problemi [...] di cogliersi al primo posto» rispetto a un dibattito nazionale in cui sembra prevalere invece una pregiudiziale contrapposizione e una conflittualità sistematica, che rispondono ad altre preoccupazioni e ad altri interessi. Con vigore e lucidità viene ricordato l’indispensabile patrimonio di «valori morali autentici e solidi [...] che formano l’anima di un popolo, la sua identità profonda», «quel senso di appartenenza che agisce sull’intelligenza e sul cuore, creando cultura e storia. E consentendo a ciascuno di sentirsi parte di un 'noi'». Una Chiesa, dunque, che proprio svolgendo la sua peculiare missione – e non fingendosi una «religione civile» – è amica della gente, contribuendo alla sostanza che la rende un «popolo», non un povero «incrocio di destini individuali».