Opinioni

Analisi. Dati demografici e ritardi politici

Gian Carlo Blangiardo sabato 11 giugno 2016
Ciò che era provvisorio è ora definitivo e si offre alle valutazioni senza alcuna ombra di dubbio. Il resoconto Istat sul bilancio demografico del 2015 conferma integralmente le anticipazioni che accreditavano, già qualche mese fa, l’immagine di un’Italia con sempre meno vitalità e forza attrattiva. I 486 mila nati registrati nel corso dell’anno non sono solo un "curioso primato al ribasso" – mai raggiunto in oltre 150 anni di storia nazionale – sono soprattutto la certificazione di un forte stato di crisi che attraversa il Paese e che trova una prima evidente manifestazione nelle difficoltà, e nelle paure, che le famiglie spesso incontrano quando devono decidere "se" e "quanti" (altri) figli mettere al mondo. E a tale proposito non sono certo sufficienti le dichiarazioni di principio e le buone intenzioni che periodicamente ricorrono da parte di chi dovrebbe attivarsi per sostenere le scelte procreative di un universo familiare da troppo tempo abbandonato a sé stesso.Ma l’inadeguato investimento in capitale umano non è che uno degli elementi problematici che emergono dalle risultanze anagrafiche del 2015. Le novità che hanno accompagnato quello che passerà alla storia come l’anno dei record demografici (negativi), riguardano anche il brusco aumento del numero di decessi ancora non del tutto chiarito – quasi 50mila in più rispetto al 2014 – e il conseguente ulteriore appesantimento del saldo naturale (-162mila unità), che consolida una situazione di deficit in atto ormai da un decennio.Se poi alla perdita di vitalità sul fronte del movimento naturale si accompagna l’accertata minor capacità di attrarre popolazione dall’estero, e nel contempo l’accresciuta tendenza a lasciar uscire i propri cittadini, ecco che appare inevitabile mettere in conto un ulteriore primato per l’anno appena concluso: il calo della popolazione. Un fenomeno, quest’ultimo, che non si registrava in Italia dal lontano 1918, allorché agli effetti della guerra si sommarono quelli della letale epidemia di "spagnola". A conti fatti il 2015 si è chiuso con 130 mila residenti in meno, ma vale la pena di sottolineare come sia soprattutto la componente italiana ad uscirne fortemente penalizzata. Infatti, mentre gli stranieri si caratterizzano ancora per una modesta crescita, pur segnalando un ulteriore calo del loro contributo alla natalità del Paese, gli italiani che mancano all’appello a fine 2015 sono ben 142 mila. E ciò avviene – nonostante il contributo di 178mila stranieri che hanno acquisito la nostra cittadinanza – sia per l’effetto negativo del saldo naturale (per circa 230 mila unità), sia per l’eccesso di uscite (rispetto ai rientri) di nostri connazionali a seguito di movimento migratorio (-72 mila unità).In conclusione, forse come mai nel passato il linguaggio dei numeri contenuti nel bilancio demografico del 2015 dovrebbe farci capire che non è più il tempo delle analisi e dei buoni propositi: è giunta l’ora di passare all’azione. «La demografia si vendica di chi la dimentica», diceva un illustre studioso del secolo scorso e l’impressione è che in Italia si siano per troppo tempo ignorati i numerosi segnali con cui le statistiche traducevano il disagio della popolazione e delle famiglie. Siamo un Paese che a partire dal lontano 1977 non è mai stato capace di garantire in modo autonomo il proprio ricambio generazionale. Svanita anche l’illusione che le migrazioni possano risolvere magicamente – e senza contraccolpi – gli squilibri di una demografia che ha perso vitalità occorre, una volta per tutte, recuperare una visione realistica del futuro e delle conseguenze che questi dati ci fanno chiaramente intravvedere.