Undici dicembre 1980, i killer di Raffaele Cutolo uccidono Marcello Torre, sindaco di Pagani nel Salernitano. Si stava opponendo agli affari della camorra nella rimozione delle macerie e negli appalti per la ricostruzione dopo il terremoto della Campania del 23 novembre 1980. Ventotto gennaio 2015, operazione Aemilia, finiscono in carcere amministratori locali emiliani che non solo non si erano opposti ma avevano favorito gli affari della ’ndrangheta nella rimozione delle macerie e negli appalti per la ricostruzione del terremoto del 20 maggio 2012. Sono passati quasi trentacinque anni. Verrebbe voglia di dire invano. E parliamo dello Stato e di noi, di non pochi di noi, e non delle mafie.Enzo Ciconte, uno dei massimi esperti di criminalità organizzata, ha spiegato ieri su queste pagine che l’infiltrazione dei clan nella ricostruzione dopo grandi calamità «non è un rischio, ma una certezza». Già, le mafie in fondo fanno semplicemente il loro sporco mestiere: accumulare soldi illegalmente, anche sul dramma dei terremoti, delle alluvioni, delle frane e dei tanti altri dissesti cosiddetti naturali. Lo hanno fatto per il terremoto del Belice del 1968 e per quello dell’Aquila del 2009. C’è poco da stupirsi. Che cos’altro ci si può aspettare da persone che uccidono, mettono bombe, fanno stragi. Anche un terremoto per loro è solo un "affare", come la droga, le estorsioni, l’usura. L’inchiesta emiliana lo dimostra ancora una volta. Fanno il loro mestiere e, purtroppo, lo sanno fare molto bene. Chi, invece, non fa il proprio mestiere sono i politici che li favoriscono, gli imprenditori e altri pezzi di società civile che chiudono naso e occhi e così facendo non perseguono il bene comune e neanche un bene privato, ma un bene criminale quello dei mafiosi ai quali si accomunano. E questo non può e non deve diventare «una certezza». Il mestiere di fare politica e di intraprendere è un’altra cosa.Ma parliamo di politica. La storia di tante ricostruzioni è costellata di infiltrazioni, collusioni, corruzioni, ma anche di tanta buona amministrazione. Marcello Torre pagò con la vita la scelta di essere a servizio dei suoi cittadini e non dei boss. «Temo per la mia vita, ma sogno una Pagani civile e libera», aveva scritto ai figli con gran dignità pochi giorni prima di essere ucciso. Altri politici hanno venduto vita e dignità per i soldi dei mafiosi. Qui è il punto fondamentale di una lotta alle mafie che voglia essere veramente vincente. I clan vengono combattuti da forze dell’ordine e magistratura, che lo fanno molto bene, con arresti, confische e processi. La cattiva politica, quella infiltrata, corrotta e collusa, può essere combattuta soprattutto dalla buona politica che fa specchio alla parte migliore, parte vasta e da far crescere, della nostra società. La guerra, perché guerra è, sarà vinta solo quando coi fatti concreti, con azioni di buon governo, i sindaci dell’Italia intera diranno "siamo tutti Marcello Torre", "siamo tutti Angelo Vassallo". E quando gli amministratori regionali diranno "siamo tutti Piersanti Mattarella", il presidente della Sicilia ferocemente ucciso dalla mafia a causa della sua politica di cambiamento e per aver osato azzerare nell’isola le permanenti signorie degli appalti. Ha un senso speciale ricordarlo proprio oggi, in questa vigilia di elezione del nuovo capo dello Stato, mentre un altro Mattarella, suo fratello Sergio, figura altrettanto operosa, degna e limpida, viene proposto per la più alta carica della Repubblica.Nei momenti difficili delle emergenze e nei momenti non meno importanti dell’ordinaria amministrazione si può e si deve sbarrare le porte delle amministrazioni pubbliche a mafiosi e intrallazzatori. Per far tornare i luoghi della politica "casa nostra" e mai in nessun modo "casa loro".