Opinioni

Lettere al direttore. «Angeli? Noi siamo volontari...» Ci aiutano a capire i nostri doveri

Marco Tarquinio giovedì 16 ottobre 2014
Caro direttore,
sono un liceale, uno delle migliaia di giovani che in questi giorni ha indossato un paio di stivali, una vecchia tuta, dei guanti ed è sceso nelle strade infangate di Genova, nei negozi allagati e tra i mucchi di detriti per dare una mano. Ci chiamano “angeli del fango”, ma mi sembra più un appellativo da statuina del presepe di terracotta: siamo volontari, ciò che ci unisce tutti è il coraggio e la buona volontà. Io ho aiutato insieme a un gruppo di miei compagni di classe. Qualche messaggio, un orario e un posto e la mattina dopo eravamo tutti riuniti. Per curiosità il primo giorno ci siamo diretti a Borgo Incrociati, dove il fiume è esondato più violentemente. Vedevo tanto grigio per strada che sembrava di vivere all’interno di una vecchia cartolina di Genova. Erano le undici di mattina, ma c’erano persone che spalavano già dalle sette. Subito siamo stati “assorbiti” all’interno al vortice dei volontari. Chi ha fatto parte di una catena per portare le pile di oggetti e mobili ammassati nei vicoli fin sulla strada principale, per essere caricati su camion, chi spalava i detriti dall’interno dei negozi, chi aiutava a trasportare una colonna di fango (forse un tempo era stato un mobile) pesante, chi puliva le lattine di bevande per donarle ai lavoratori assetati. Il viavai di gente era molto intenso, nonostante lo spazio angusto dei vicoli dove lavoravamo: si potevano intravedere divise della croce rossa, dei vigili del fuoco, della protezione civile, fazzolettoni scout. Quello che mi ha colpito è stata la volontà che animava le persone intorno a noi: ognuno prendeva iniziativa, nessuno voleva stare fermo o riposarsi. E siamo tornati ad aiutare anche un secondo giorno, e poi un terzo. Io sono scout, e mi sento orgoglioso di aver mantenuto la mia promessa: di aiutare gli altri in ogni circostanza, di essere sempre pronto a servire.
Giorgio Rossi
Hanno volti, nomi e storie i “ragazzi” e le “ragazze” come voi che in questo ottobre 2014, per le strade disastrate di Genova, hanno mostrato ancora una volta la faccia migliore di noi italiani: quella decisa e generosa, solidale e capace di chi si rimbocca le maniche e fa la cosa giusta. L’hanno fatto spalla a spalla con tanti che “ragazzi” non sono più, ma non hanno perso la voglia e anche, sì, la buona rabbia necessaria per non farsi abbattere quando un torrente di acqua, di fango e di insipienza amministrativa, un’onda che tutto sembra travolgere ti rovina addosso e, dopo, sembra che non ci sia che da imprecare e da aspettare... Le vostre lettere, cari Giorgio e Cristiano, aiutano a capire bene. Lo so, qualcuno dice che riconoscere a quelli come voi un merito e una dignità conquistati sul campo è puro esercizio di retorica, qualcun altro – che della retorica non ha paura (e neanche delle vostre risate) – vi chiama “angeli del fango”, altri ancora vi considerano più esibizionisti modaioli che buoni cittadini e non manca neppure chi sbotta dicendo che la notizia di cui bisogna occuparsi non sono le vostre mani pulite e utili, ma le mani sporche e inutili dei “demoni del fango” cioè di quanti hanno fatto la cosa sbagliata (o hanno fatto un bel niente) per impedire il ripetersi di tragedie come quella abbattutasi sulla città che della Liguria è cuore e simbolo. Vi offro un consiglio non richiesto e forse neppure necessario: fate finta di non sentirli. Alcuni di quelli che vi fanno l’esame o vi assegnano patenti hanno qualche ragione e buone intenzioni, ma la maggioranza non ha capito chi siete davvero e perché siete importantissimi. Non siete soltanto i figli e le figlie dei giovani che corsero a Firenze, in Friuli, in Irpinia, non siete appena i fratelli e le sorelle minori di quelli dell’Aquila. Siete parte di una bella e tosta generazione che vive un tempo altrettanto tosto e bello e che, per merito e per colpa di nonni e padri, ha davanti una strada ben disegnata eppure ardua. Siete parte della prima generazione, continuiamo a ripetercelo, che sa di doversi aspettare una vita “peggiore” di quella dei propri genitori. E troppo spesso venite presi e squadrati soprattutto per il lato superficiale o “neet”, cioè quello dei demotivati e dei nullafacenti. Io credo che voi ci stiate dicendo che la vostra vita non sarà vuota e peggiore, sarà diversa. E forse – io lo spero – diversamente ricca e più saggia. Il compito di chi ha il potere di cambiare strumenti e regole è di mettervi in condizione di “faticare” con efficacia in questa direzione, senza zavorre ingiuste. Del resto, e non solo nelle emergenze, continuate a dimostrare di averne la voglia e l’abilità. Anche se pochi tra quelli che fanno il mio mestiere se ne accorgono o lo stimano rilevante, in tantissimi vivete già a maniche rimboccate lungo tutto l’anno, ma specialmente ogni estate, dal Nord al Sud d’Italia e anche in giro per il mondo, abitando e animando una miriade di iniziative, di imprese, di campi di lavoro, di tempi di “servizio”. E nessuno vi chiama “angeli” per questo, anche se aiutate a rimuovere il fango della miseria, dell’ingiustizia, dell’ignoranza, della sporcizia, dello scoramento, della malavita... Continuo a chiedermi perché mai quest’Italia che ha bisogno di tornare a credere in se stessa e nei propri giovani (che non hanno più, se mai l’hanno avuta, la pelle di uno stesso colore) ancora non si decida a rispettare e riconoscere il vostro senso del “diritto” (e dello storto) il vostro senso del “dovere” e a valorizzare stabilmente, ordinariamente, le vostre indispensabili energie? Gli amici lettori sanno che sono tra quanti sperano che si riorganizzi presto un “servizio civile” universale. Un passo prima e accanto al volontariato. Una scuola di cittadinanza, in cui insegna anche chi la frequenta per apprendere. È una delle strade possibili, una delle risposte e delle occasioni che meritate per fare la vostra parte per il bene di tutti. Bisognerà proprio riparlarne.