Opinioni

La prima volta d un cancelliere a Dachau. Angela e il lager (la memoria costruisce)

Marco Impagliazzo mercoledì 21 agosto 2013
Angela Merkel è il primo capo di governo tedesco a visitare Dachau, il campo di concentramento inaugurato nel 1933 agli inizi del potere hitleriano. Pochi mesi fa ha inaugurato a Berlino un memoriale allo sterminio dei Rom. Dachau è il primo lager del grande universo concentrazionario nazista, che ha visto prigionieri tedeschi ed europei perseguitati dal regime. La Cancelliera, in piena campagna elettorale, va a inchinarsi ai 41.500 caduti a Dachau e a quanti hanno sofferto in tutti gli altri campi di sterminio. Così riafferma la decisa volontà della Germania di non dimenticare. Qualche giorno fa, Merkel ha collegato gli anni bui del nazionalsocialismo ai rigurgiti razzisti del presente, lamentando che le istituzione ebraiche in Germania debbano essere sorvegliate notte e giorno dalla polizia. «Bisogna rimanere vigili – ha detto – questa ideologia non deve trovare spazio nella nostra Europa democratica». La visita di Merkel a Dachau, in un momento di grande attenzione mediatica, ribadisce le scelte della nuova Germania: la memoria e il rifiuto di una storia egemonica e totalitaria (che è stata contrabbandata come naturale vocazione tedesca). La visita è anche un messaggio all’Europa. In questa Europa, fondata sulla cultura, la memoria è un tratto distintivo. Fare spazio alla memoria crea i presupposti del vivere insieme. Niente è acquisito per sempre. In Italia si resta sgomenti dal linguaggio razzista degli stadi o dalle espressioni volgari rivolte al ministro Cecile Kyenge. Da dove viene tutto questo? La memoria dell’esclusione di ieri può divenire, con un lavoro quotidiano e paziente, mattone dell’inclusione di domani. È quanto dobbiamo a chi ha perso la vita a causa del razzismo e dell’antisemitismo: una memoria capace di farsi speranza per il presente e per il futuro.Ma c’è un altro significato nella visita a Dachau del cancelliere di Berlino. In quel terribile lager furono uccisi anche moltissimi cristiani di ogni confessione. Tra questi il domenicano padre Girotti, che sarà presto beatificato ad Alba, in Piemonte. In quel lager – in tempi non ecumenici – si manifestò nella comunione del dolore una reale unità dei cristiani – cattolici, evangelici, ortodossi – vicini nel vincere il male con il bene. Il gesto di Angela Merkel è un atto di omaggio alla resistenza cristiana al male. Ma è un gesto che guarda anche al presente: tanti cristiani oggi soffrono e, purtroppo, perdono anche la vita, per la loro fede. Si è detto più volte su questo giornale come la più vasta persecuzione per motivi religiosi oggi sia proprio contro i cristiani. Sono quei cristiani – in Egitto, in Siria, in Pakistan, in Nigeria e altrove – che non bisogna dimenticare. Nel mondo globalizzato è necessario alzare lo sguardo dal presente, dall’immediato o dai piccoli interessi di "bottega". Giustamente Ilvo Diamanti scriveva  lunedì scorso, della necessità di non restare «prigionieri del presente».Il rattrappimento sul presente, e su ciò che mi tocca da vicino o solo personalmente, è uno dei mali del nostro tempo. Con enormi ricadute sulle prossime generazioni. I padri europei hanno guardato lontano, consegnandoci un sogno divenuto realtà: un’Europa pacifica e democratica, seppure costruita sulle ceneri di due guerre mondiali e dei totalitarismi. Quel sogno diventò realtà a causa di una scelta forte e mai messa in discussione: non dimenticare l’orrore del totalitarismo e della guerra, distaccarsi definitivamente dalla contrapposizione in cui si sono combattuti popoli ora fratelli, ripudiare il razzismo istituzionalizzato che ha annientato le comunità ebraiche di tanti Paesi.Oggi l’Europa, e ogni Paese europeo, è davanti al grande mondo. Un mondo, i cui dolori e le cui sofferenze, non possono essere dimenticate o guardate con superficialità. La nostra storia ci ha insegnato come realizzare un mondo migliore. Non è il tempo del congedo dalla storia, ma dell’impegno, soprattutto per chi non gode del nostro benessere e dei nostri diritti, tra cui quello di professare liberamente la propria fede.