Botta e risposta. «Alunni e disagi, non è emergenza» «Troppe diagnosi, poca educazione»
Cortese direttore, scrivo in riferimento all’editoriale del pedagogista Daniele Novara «Oltre l’eccesso di medicalizzazione psichiatrica. È ora di curare con l’educazione» di venerdì 7 aprile, pur trovandomi d’accordo con una serie di riflessioni sul ruolo dell’educazione, trovo scorretti, per le fonti in mio possesso, alcuni passaggi riportati nell’articolo. A parte che non è chiaro cosa intenda l’autore quando parla di “ultimi anni” comunque per la certificazione di disabilità – Legge 104 – l’Istat riporta un aumento dal 2000 all’anno scolastico 2015/16 (ultimi dati disponibili) di un 1 punto nelle elementari (dal 2,1% al 3,1%) e 1,3 punti nelle medie (da 2,3% a 3,6%) quindi siamo un po’ lontani dal raddoppio di cui parla l’articolo. Diverso il discorso relativo ai Dsa (di cui l’Istat nel suo rapporto non parla se non in riferimento a casi seguiti da insegnante di sostegno che non è condizione prevista per la Legge 170, ma si trova nei dati del Miur riferiti però all’anno 2014/15) che dal 2010 (anno di emanazione della Legge 170) al 2015 sono passati dallo 0,7% al 2,1% con il picco del 4,2 nelle medie ma occorre anche tener presente che è un ambito su cui sono stati definiti percorsi strutturati e interventi sostanzialmente a partire dal 2010 e che generalmente si stima la loro prevalenza intorno al 5-6%. Detto questo, per quanto riguarda le elementari, anche utilizzando le percentuali più alte, si arriva, tra Legge 104 (3,1%) e Legge 170 (1,6%), al 4,7; riportare che «1 bambino su 4» (25%) rientra nei Bes significa ipotizzare che il 20% dei bambini alle elementari sia interessato da Bes di altro tipo (peraltro, a differenza di quanto riportato dall’articolo, non soggetti a certificazione neuropsichiatrica)... Non ho dati a riguardo, ma mi sembra una percentuale alta se non ricomprendendo anche le condizioni di disagio linguistico legate, ad esempio, ai fenomeni migratori, per i quali pensare a dei Pdp (Piano Didattico Personalizzato – sostanzialmente unico intervento previsto per i Bes non Legge 104 e non Legge 170) mi sembra possa essere anche pedagogicamente sensato in una logica di personalizzazione della didattica in rapporto ai bisogni individuali. È poi eccessivamente riduttivo (e, in parte, scorretto) dire che «per salire su ciascuno di questi binari (104, 170, altri Bes) occorre una diagnosi neuropsichiatrica e quindi si ha diritto a un insegnante di sostegno o a un programma specifico con facilitazioni attinenti anche alle prove di verifica». In realtà ogni “binario” ha percorsi e caratteristiche proprie e prevede interventi specifici... Trovo inoltre fuorviante l’indicazione secondo cui «la diagnosi neuropsichiatrica deve essere l’ultima spiaggia, non la prima scelta», sia perché mi sembra sostenga un modello culturale secondo cui approccio sanitario e approccio psicopedagogico siano tra loro alternativi e non processi in integrazione (credo che i tempi di Itard, Pinel e Victor e le loro contrapposizioni dovrebbero essere passati da tempo), sia perché, da genitore di un ragazzo autistico, sono convinto che la diagnosi sia uno step da raggiungere nel più breve tempo e più precocemente possibile anche per orientare in maniera utile l’intervento educativo; per questi motivi resto convinto che, ove siano presenti dubbi sullo sviluppo del bambino, sia fondamentale approfondire la situazione anche, se necessario, sul versante neuropsichiatrico. Francamente su un tema così delicato e complesso credo sarebbe utile evitare eccessive semplificazioni.
Paolo Zampiceni “Autismando” – BresciaRingrazio il signor Paolo Zampiceni dell’Associazione genitori di bambini autistici Autismando di Brescia per la possibilità di approfondire l’emergenza neuropsichiatrica fra i minori italiani. Polemizzare sui dati, specie quando non rispondono alle proprie aspettative, appare facile ma spesso inutile. È lo stesso Miur (Ministero Università e Ricerca) a specificare difatti che «la presenza degli alunni con disabilità nel sistema nazionale di istruzione è notevolmente cresciuta nel corso degli ultimi anni» (Miur Servizio Statistico L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, 22/11/16). In realtà i dati appaiono decisamente sottostimati. Se pensiamo a tutte le risorse impiegate, specie a livello scolastico (gli insegnanti di sostegno sono in aumento) e anche sanitario, logica vuole che la comunità si aspetti un miglioramento delle condizioni di salute neuropsichiatriche dei bambini. Viceversa il peggioramento continua senza alcun segnale di inversione di tendenza. Penso che qualsiasi cittadino debba legittimamente chiedersi se queste risorse siano utilizzate adeguatamente o solo per sostenere sistemi inefficienti di cura che aumentano le malattie invece di farle regredire. Che qualcosa non funzioni nel sistema diagnostico l’ha denunciato nientemeno che il decano dei neuropsichiatri italiani Michele Zappella da sempre uno dei massimi esperti di autismo e non solo proprio al Convegno di sabato 8 aprile 'Curare con l’educazione' (1.000 persone in teatro, 400 in streaming) a Milano: «La diagnosi di dislessia spesso cala come un’etichetta irreversibile su bambini che hanno invece solo delle difficoltà nel leggere. Questa epidemia di dislessia fa pensare a quello che successe decenni fa con le classi differenziali che finirono semplicemente col raccogliere i bambini con difficoltà sociali e culturali piuttosto che con vero ritardo mentale. Anche per l’autismo, in un modo non troppo diverso dalla dislessia, una realtà complessa con forme reversibili e casi d’altro genere, viene fatta passare per un disturbo irreversibile». Sostenere pertanto che occorra impegnarsi a cercare le diagnosi il più precocemente possibile, lo trovo francamente inquietante. A chi affidiamo il compito di definire un bambino di un anno o due autistico, ipercinetico (ADHD), oppositivo o quant’altro? Si tratta di un territorio quanto meno ondivago, scivoloso, dove le stesse opinioni scientifiche sono ancora estremamente controverse. E se poi la diagnosi fosse sbagliata? Chi risarcirà quel bambino del danno subito? Il confine fra stati neurocerebrali immaturi e una malattia conclamata sono estremamente labili. Chi può assumersi questo rischio su base preventiva? Appare un azzardo! La logica degli screening neuropsichiatrici a tappeto, partita pesantemente nelle scuole italiane, senza alcuna regolamentazione, porterà dei seri guai ai nostri bambini. Il Ministero dovrebbe al più presto intervenire. Da ultimo ricordo che quando parlo di intervento educativo mi riferisco al sostegno pedagogico verso i genitori, il vero pezzo mancante nella pletora di interventi attorno alle diagnosi neuropsichiatriche. Un sostegno che si sostanzia nel ripristinare i basilari educativi nelle famiglie coinvolte. Lasciare infatti il bambino di 6 anni nel lettone mentre si fa logopedia appare un assurdo, lo stesso per il bambino di 8 che fa psicomotricità e che il genitore continua a pulire in bagno come un neonato. Dobbiamo costruire una nuova storia. Bambini, genitori e insegnanti si meritano ben altro che questa incredibile aggressività diagnostica dove l’immaturità evolutiva non viene più vista come tale ma come malattia vera e propria. I bambini e i ragazzi, il più delle volte, hanno semplicemente bisogno per crescere di tutto il tempo necessario e di disporre di una buona educazione. I bambini vivaci sono normali e quelli distratti hanno tempi attentivi diversi dalle pretese adulte! Non facciamo la guerra all’immaturità infantile e adolescenziale perché imparare a vivere è un’impresa bellissima che si nutre di fiducia, rispetto e apprendimento.