La Croce. Il Venerdì Santo a noi risparmiato: alleggerire la loro prova
I celebri Ecce homo di Antonello da Messina imprimono nell’anima un’immagine di avvilimento e di disillusione di intonazione rara – per non dire unica – nell’iconografia dell’arte sacra che commenta la passione di Gesù. L’immagine comunica un senso di smarrimento, di frustrazione, di sorpresa: con tonalità che stanno al limite della catechesi convenzionale.
Non trovo parole più esatte, per questo fermo-immagine, di quelle dell’antica profezia: «Ho faticato invano, per nulla e inutilmente ho esaurito la mia forza» (Isaia 49, 4). Lo sguardo, qui, che trattiene le lacrime, è come il groppo in gola che trattiene il respiro.
Entrambi, infatti, stanno ai bordi dell’abisso: sull’orlo del buco nero che, per un istante sospeso a una durata incalcolabile, lambisce l’intimità stessa di Dio: «Tutto è stato inutile». Gesù, certo, mille volte l’ha immaginato il passaggio attraverso questo attimo di smarrimento, annunciando ai suoi – in anticipo – che ne sarebbero stati le prime vittime. Ma viverlo è un’esperienza unica. Questa, infatti, è la prova di tutte le prove. Quella che Gesù stesso, per un attimo, ha domandato al Padre se non gli potesse essere risparmiata. Quella prova / tentazione, che sintetizza tutte quelle in cui Gesù ci ha insegnato a chiedere al Padre di non essere abbandonati. La prova / tentazione, alla fine, è sempre una prova della fede nella quale abbiamo creduto. Non si tratta semplicemente della violenza e del dolore. Nel Venerdì santo si tratta del fatto si tratta del fatto che tutto questo arriva come risposta – illogica e inattesa – alla dedizione dell’amore. Quest’Uomo ci ha guarito i bambini e noi gridiamo che il suo sangue sia come un’aspersione dei nostri figli (Matteo 27, 25)?
Essere messi alla prova di questa contraddizione è la prova di tutte le prove. Per un attimo, il suo avvilimento è un’esperienza devastante per la nostra interiorità. Siamo pronti per la prova di tutte le prove? In realtà, non siamo mai abbastanza pronti per il passaggio dell’attimo eterno di questo smarrimento, che non fu risparmiato al Figlio, consentendogli di unirsi con l’esperienza più profonda della nostra interiorità vulnerabile.
Oggi siamo in una congiuntura nella quale il peso di questa “prova delle prove” della fede sembra coinvolgere credenti e non credenti in un unico smarrimento. Nei decenni post-bellici della nostra euforia scientifica abbiamo fatto di tutto per convincerci della nostra capacità di regolare i rapporti di causa ed effetto anche nell’ambito dell’interiorità e delle intenzioni. Ci siamo detti che una somministrazione educativa degli stimoli adatti alla soddisfazione dell’ego produce individui positivi e disposti alla collaborazione.
Giusto farlo, ma non era vero.
L’effetto che volevamo si apre soltanto nella condivisione di una forza spirituale che vuole appassionatamente il bene anche quando il voler bene è fallimentare. Ci siamo detti che una potente lievitazione della crescita produttiva e del benessere materiale genera un interesse diffuso per la pacifica collaborazione delle società e dei popoli. E via cantando. Giusto pensarlo, ma non era vero. Il seme della convivenza e della pace non può affatto aspettarsi di diventare possibile solo quando tutti mangiano e hanno il cellulare. Viene da un’indisponibile affezione della libertà, alla quale deve attingere senza calcolo: altrimenti, quando il rapporto causa-effetto non funziona, siamo persi. E diventiamo anche un po’ vili: arretriamo, allontanando ancora di più il tempo del riscatto.
Il Christus patiens del Venerdì santo ci spiega – pazientemente direi – ogni anno, che questa contraddizione fra il seme generosamente gettato e il raccolto apparentemente compromesso va ogni volta affrontata, portata, espiata.
Lo Spirito e la forza che ci consentono di non arretrare, onorando il Figlio, che non cedette al nichilismo del bene fatto e del bene voluto, sono la grazia del Venerdì santo. Noi stiamo entrando, collettivamente ormai, nel vortice di questa prova: annunciato dai segni di una regressione pulsionale collettiva.
Dopo decenni di giusto orgoglio per i successi della conoscenza psicologica e del benessere diffuso, uomini e donne, come anche genitori e figli, sono indotti ad affrontarsi “fisicamente”. Dopo decenni di convivenza interreligiosa e di cooperazione internazionale, le differenze ridiventano motivo di “guerra”: con il ritorno degli dèi che maledicono gli infedeli e benedicono le spade. “Abbiamo faticato invano?” Non abbiamo faticato invano, certo. Però, da qualche tempo, abbiamo forse evitato di faticare. In questi decenni non abbiamo forse cercato compensare la scarsa creatività della lieta semina della fede con l’eccitazione di infiniti progetti di riforma dell’istituzione? Intanto, molti fratelli e sorelle, in molte parti del mondo, patiscono un Venerdi santo che a noi è risparmiato. Dobbiamo alleggerire la loro prova, più che cercare di sottrarci alla nostra.