Terra Santa. La certezza del Natale, vera speranza di pace
Betlemme è senza luci, senza colori e senza suoni. La Basilica della Natività è vuota e i pochi fedeli non fanno la fila per inginocchiarsi sulla stella della grotta, luogo della nascita di Gesù. Mi torna alla mente il Santo Natale del 1995. Il ricordo va al 21 dicembre di quell’anno, fu il giorno in cui l’esercito israeliano lasciò Betlemme e tre giorni più tardi la città passò sotto la completa gestione e il controllo militare dell’Autorità nazionale palestinese. In soli tre giorni organizzammo in modo più solenne le celebrazioni della Notte santa. Eravamo entusiasti e felici di poter celebrare il Santo Natale, aprendo le porte a chi voleva condividere con noi la gioia della venuta del Salvatore. Ricordo quel Natale con una bellissima sensazione di serena e fraterna comunione. Invitammo le autorità palestinesi a unirsi a noi Francescani e da allora alla vigilia di Natale, prima Arafat e poi Abu Mazen, salvo rare eccezioni, partecipano alla celebrazione della Notte santa. Da trent’anni è una partecipazione sentita non per l’appartenenza religiosa, ma per la condivisione di un evento solenne di una parte importante del popolo palestinese.
Dopo quel Natale trascorso insieme, il presidente Arafat chiese di dichiarare Festa nazionale il Natale cristiano. L’Autorità nazionale palestinese decise dopo il 1995 che i candidati sindaci di otto città della Cisgiordania fossero cristiani a capo di liste composte da componenti di entrambe le religioni. Spesso il presidente Arafat ci diceva che noi cristiani celebravano un solo Natale, lui ne festeggiava tre, perché partecipava alle celebrazioni dei latini, dei greci ortodossi e degli armeni. Anche il presidente Abu Mazen ripete spesso questa frase. Condivisione e convivenza nel rispetto reciproco sono elementi essenziali della pace. A causa della guerra e per il secondo anno consecutivo mancano i pellegrini, manca la partecipazione e la condivisione di fede con i cristiani locali. La mancanza di pellegrinaggi fa mancare il lavoro, dignità e sostegno per tante famiglie cristiane, che sono costrette ad andare via dalla Terra Santa. Nonostante il silenzio e la presenza visibile della guerra, la città della pace è il luogo Santo dove è forte la consapevolezza che “tutti qui siamo nati”.
Non è solo una sensazione, è un senso di appartenenza che ci fa sentire popolo di Dio in cammino verso la salvezza. È un cammino di speranza, che segue il volo degli angeli che ci indicano la strada e che annunciano la nascita del Salvatore. È un cammino fiducioso, che segue con cuore aperto i pastori attratti dalla luce e adoranti dinanzi al Bambino avvolto in poveri panni. Un principe, che sarà re, è nato in una grotta umile e poco regale ma è atteso e amato dagli uomini di buona volontà. La Terra Santa, terra di grande spiritualità e di forti contrasti, ha sempre attratto viaggiatori e pellegrini: è la terra che spinge a riflettere e ad entrare in contatto profondo con se stessi per aprirsi al mondo. È la vasta area geografica che da anni è scenario di conflitti e di conquiste. Gerusalemme, cuore pulsante delle tre religioni monoteiste, è contesa e ambita.
Fra le strette vie della Città vecchia si incrociano sguardi e vite. Sono vite di chi vive una realtà forte e difficile. Si incrociano storie di vite radicate fra quelle pietre e che cercano di rimanere attaccate a quelle pietre. Non è una vita che scorre facilmente fra le difficoltà comuni alla vita stessa, è una vita di convivenze, di riti, di tradizioni, di consuetudini particolari. Gerusalemme attrae lo sguardo di una umanità che guarda alla città Santa come possibile centro di unità e di pace. Gerusalemme volge lo sguardo al mondo intero e chiede pace, attenzione, cura e rispetto per la vita. È una richiesta silenziosa e forte, è la necessità di tutelare chi non ha più la forza di chiedere pietà, è la volontà e il coraggio di chi difende e protegge i propri figli che sono anche figli del mondo. Non smettiamo di sperare in soluzioni pacifiche ma spesso ricadiamo nella sfiducia quando agli spiragli di pace risponde l’aumento di immagini e di numeri di morte e di distruzione. Continuiamo a pregare per la pace: la preghiera sia sempre assidua, forte e costante.
Abbiamo vissuto un Avvento alla ricerca della pace, pregando e aspettando che ci fossero segnali veri di riconciliazione. Nel cammino dell’Avvento si sono levate voci rassicuranti, sono state fatte promesse di possibilità di tregue che dessero respiro e sollievo alle tante sofferenze. Si sta per completare il tempo forte dell’Avvento e la violenza, l’odio e la vendetta sono ancora protagonisti in Terra Santa e nel mondo. Ci avviciniamo al Giubileo della Speranza: viviamolo intensamente, aspettando la promessa che ci garantisce la vita vera. Papa Francesco ci vuole “pellegrini di speranza”: iniziamo nella Notte Santa a percorrere strade di luce evitando gli ostacoli che fermano la possibilità di arrivare alla meta. Chiediamo al Verbo che si è fatto Uomo il dono della speranza e della fiducia rinnovata, della carità fraterna e dell’amore disinteressato verso il prossimo, vicino e lontano ma sempre amato. Ai tanti lettori e a tutti i giornalisti e collaboratori di Avvenire desidero fare arrivare la mia gratitudine. La continua attenzione dei lettori a chi soffre a causa della guerra aiuta molto a sentirsi meno soli. E il lavoro dei giornalisti è importante per far conoscere la realtà complessa della situazione in Terra Santa, ma anche la sua bellezza. Che il Signore ve ne renda merito. Pace e Bene: non esiste un augurio più bello e una benedizione più grande. Santo Natale a tutti!
Vicario della Custodia di Terra Santa