La morte del piccolo Alfie/2. Con così tanto amore
La vita del piccolo Alfie, ahimè, si è conclusa, ed è un giorno tristissimo per tutti. Per la sua famiglia e per tutti noi, che da questa vicenda non abbiamo ancora ricavato tutte le informazioni che contiene, e che sono importanti anche per la nostra vita.
Si tratta di una vita, che vale quanto il mondo. Di una coppia di genitori, che vorrebbero vivere tutta l’esistenza con quel figlio. Di un bambino, con una malattia che la scienza cataloga come progressiva e inarrestabile. Di uno Stato, che ha voluto interrompere le cure mediche, nella convinzione che la medicina non possa vincere contro questa malattia, e che la protrazione della vita sia protrazione della sofferenza. Ma soprattutto a mantenere viva la notizia è stata la coppia di genitori molto giovani, che hanno amato e amano senza condizioni quel bambino e non avrebbero voluto staccarsene, non avrebbero voluto che le cure venissero abbandonate.
Ripercorriamo la storia. Il loro Stato decide di non curare più Alfie, e i genitori del bimbo vorrebbero portarlo dove ci sia qualcuno disposto a curarlo ancora, come a Roma, dove l’ospedale del Bambino Gesù s’era detto pronto ad accoglierlo.
I genitori non credono al loro Stato, dicono che lo Stato sta sequestrando il piccolo. Il modo in cui si esprimono inventa espressioni nuove: dicono che loro vogliono soltanto «continuare ad amare il figlio», e che lo Stato glielo impedisce, chiudendo il bambino nelle proprie strutture. Bisogna ammettere che lo Stato non è sicurissimo nelle decisioni che prende.
Ha interrotto la respirazione artificiale, dichiarando che il piccolo aveva solo qualche ora di sopravvivenza, ma il piccolo ha continuato imperterrito a respirare a lungo anche senza aiuti, sicché l’ospedale ha finito per concedere qualche momento di sostegno e di idratazione . È la tenacia, la non-rassegnazione dei genitori che protrae la vicenda. Il figlio non è per i genitori quel che è per la scienza. La maternità e la paternità sono un mistero insondabile. Difficile da esprimere, e provandoci qui vado oltre le mie forze.
Quando due genitori hanno un bambino, non è un vivente che appare tra di loro, ma la vita stessa. Si sentono artefici di un evento che li scavalca, e verso il quale devono essere umili. Nei video, continuano a carezzare all’infinito Alfie, passando e ripassando col dorso della mano destra sulla sua guancia sinistra, vicino alla bocca. Vedendo la scena in Internet, mi son fatto l’idea che padre e madre abbiano scoperto che lì il figlio è più sensibile, carezzato lì dà segni di percezione, una qualche forma di risposta. Forse se lo dicono tra di loro. Perché il problema per questi genitori non è amare il figlio, ma avere risposta all’amore, sentire che l’amore arriva a segno. "Amarsi" col figlio.
La madre si dispone ad accettare il figlio prima che nasca. Ci sono madri che non vogliono sapere se il nascituro è maschio o femmina, perché temono che poi, se il figlio è del sesso che non s’aspettava, si senta rifiutato. Ci sono cliniche pre-natali, in America, dove s’insegna alle donne-in-attesa che ognuna di loro ha tre bambini, uno in testa, uno in cuore e uno in pancia. Il primo è il bambino-fantasma, il secondo il bambino-progetto, il terzo il bambino-reale. Quando appare il bambino reale, il pericolo è che tu lo senta, e che lui senta che tu lo senti, peggiore o inadeguato rispetto al fantasma e al progetto che avevi in mente, che tu soffra per questo e che lui si senta in colpa per la tua sofferenza. Se il bambino nato non è bello come il fantasma, il pericolo è che la madre viva sempre col figlio-fantasma, e si stacchi dal figlio reale.
Questi due giovani genitori manifestano tanto amore al figlio da non permettere che s’insinui in lui un simile sospetto. Sanno che il tempo è poco, quel figlio se ne andrà. Vogliono che il figlio, per quanto può sentire, senta che l’amore che gli riempie questo poco tempo è così tanto, che potrebbe riempire una lunga vita.