Il direttore risponde. Alcolici, una pubblicità discutibile
don Pierpaolo Rossini
La sua lettera, caro Don Rossini, esprime una preoccupazione pedagogica ed educativa, un’attenzione verso i giovani proprie della sensibilità salesiana. Lei non è il primo lettore che pone la questione inerente la legittimità della pubblicità di bevande alcoliche; legittimità che dovrebbe essere ancora di più «sub judice» quando si tratta di media generalisti, accessibili anche al pubblico dei minori, come nel caso di un grande quotidiano sportivo. Certo la crisi del mercato pubblicitario e la caduta a picco dei fatturati che tocca la carta stampata rendono più difficile il rifiutare delle inserzioni. Ma la testata da lei citata è uno storico patrimonio del giornalismo italiano, bandiera di tante battaglie di civiltà dello sport (per esempio quella contro la violenza negli stadi). Proprio in virtù di questa sua caratura dispiace maggiormente veder pubblicata, qui, la réclame d’un prodotto come la birra (prescindendo dalla marca), pubblicità di cui non s’avverte affatto il bisogno, essendo proprio il consumo eccessivo di birra uno dei fattori scatenanti (o almeno incentivanti) la devianza giovanile, in particolare quella della tarda serata: etilismo (con l’Italia ai primissimi posti in Europa), risse, teppismi, stupri, guida in stato alterato. Facile rispondere che una bevanda in sé non fa male, ma è l’abuso (e quindi la responsabilità del consumatore, non del venditore) a creare il danno. Ma quando c’è un’emergenza in corso, i sofismi non fanno altro che peggiorare la situazione. La verità vera è che – oggi – la propaganda di alcolici e superalcolici andrebbe severamente regolamentata e monitorata, anzi andrebbe imposto sulle confezioni un chiaro richiamo alla dannosità di questi prodotti, come già avviene, del resto, per le sigarette. Come lei giustamente osserva, è in gioco il futuro di una generazione, e di conseguenza il futuro del Paese. Educare non significa blandire (o peggio abbandonare) i giovani nei loro comportamenti discutibili e dannosi, magari in nome di un’errata nozione di libertà personale, ma formarli alla realtà attraverso la corresponsabilità, di cui una certa severità è precondizione. Per questo rilancio volentieri il suo appello.