Il direttore risponde. Al ristorante con i nostri figli: educazione sì, esclusione no
Caro direttore,
leggendo la rubrica del bravo Paolo Massobrio del 31 gennaio mi son venute in mente le tre volte che la mia famiglia con figli è stata rifiutata. La prima in un ristorante a Venezia in cui hanno addotto che il passeggino era ingombrante e al mio far notare che si piegava e diventava quasi un ombrello (si parla di passeggini molto essenziali) e che si sarebbe messo di fianco alla sedia, dissero chiaramente che i bambini non li volevano. La seconda volta fu in un campeggio all’isola d’Elba. All’entrata ci chiesero se avevamo bambini e alla nostra risposta positiva ci negarono il posto costringendoci a un’altra ricerca. La terza volta fu in un ristorante a Valdagno, la mia città. Anche qui mi dissero chiaramente che i bambini «disturbavano». Ora i miei figli sono vivaci a casa, ma nei luoghi pubblici abbiamo sempre ricevuto complimenti per il loro comportamento corretto. Le motivazioni del ristoratore difeso dal buon Massobrio e cioè quell’intento educativo citato, non possono essere accettate. E non voglio essere frainteso: non mi riferisco direttamente a quel preciso locale, ma a tutti i locali che non accettano i bambini. Si può essere d’accordo o meno se mettere a letto i figli prima o dopo Carosello; sono d’accordo sul riprendere i comportamenti "vivaci" e/o maleducati di bambini e di genitori o di qualsiasi altra persona, ma questo non può vietare l’entrata in locali pubblici. Dove non possono entrare i miei figli, che non sono animali, non posso entrare neanch’io. Con immutata stima e cordiali saluti
Alessandro Soprana, Valdagno (Vi)
Lascio volentieri all’ottimo Massobrio la risposta al gentile signor Soprana. Ma ci tengo a dire che trovo molto interessante il tema, perché ragionare di educazione significa effettivamente parlare anche di come mangiamo e di come stiamo a tavola, in famiglia e nei luoghi pubblici.
Aggiungo solo qualche riga, da padre di due figlie che, con mia moglie, ho cercato di educare (con qualche successo) a una sana convivialità e al saper stare con rispetto in mezzo agli altri. Ho sempre ascoltato volentieri e spesso accettato consigli ragionevoli, e all’epoca avrei valutato – non mi è mai toccato di farlo, per la verità – la proposta di partecipare a un certo turno 'con e per bambini' al ristorante o in trattoria, ma non mi piacciono gli aut aut. E dei locali nei quali non sono stato accettato 'a priori' con le mie figlie perché piccine (mi è capitato purtroppo, in Italia e all’estero) ho preso buona nota. Non ci sono più tornato, e non ci tornerò.
Caro Alessandro, come padre di tre figli non posso che essere solidale con lei. E anch’io ne avrei da raccontare sulle avventure accadute nei locali coi miei bambini. Però il caso di Sirani mette in luce un aspetto diverso, a mio avviso, che a differenza dei casi citati, è dichiarato per tempo. Inoltre non è corretto dire che Sirani non accetta i bambini, perché in verità all’atto della prenotazione consiglia di prendere parte al primo turno (che è anche coerente e consono per una digestione corretta). Quindi non è vero che non accetta i bambini, ma si pone un problema, avendo uno spazio interno contenuto e sempre pieno: come posso gestire il locale se nel relax del secondo turno i genitori, spesso, lasciano liberi i bimbi in altri spazi che non sono quelli della sala da pranzo? Quello che lui propone, in fondo, mi sembra un accettabile compromesso di reciproca attenzione, anche nei confronti dei bambini. Se andassi da Sirani, non troverei discriminante cenare al primo turno e poi attardarmi con i miei bambini nello spazio aperto ancora un po’. Ma un conto è lasciarli andare senza controllo, come è purtroppo accaduto, un conto è vivere con chi si è portato appresso (bambini, non animali, appunto), un momento di convivenza insieme: durante e anche dopo la cena. Grazie comunque per la sua lettera, ero certo che l’argomento avrebbe fatto discutere. Con cordialità.
Paolo Massobrio