I nodi delle migrazioni. Al di qua e al di là delle alpi domina la retorica sovranista
L’improvvida uscita del ministro degli Interni francese Darmanin, a proposito dell’incapacità del governo Meloni di fronteggiare gli sbarchi dei profughi, dice molto di più di quanto le parole abbiano espresso. Dice anzitutto che le politiche dell’asilo sono una questione che provoca fibrillazione nei governi nazionali: sia che, nel caso francese, siano messi sotto pressione da un’opposizione di destra che li accusa di inettitudine e lassismo, sia che, nel caso italiano, la medesima destra sia andata al governo promettendo sbarramenti invalicabili e ora non riesca a dare risposte soddisfacenti alle attese dei propri elettori, nemmeno intaccando diritti umani fondamentali. Di qui uno scenario sconfortante di accuse reciproche, insinuazioni e lacerazioni, tra governi che dovrebbero avere tutto l’interesse a collaborare a livello europeo per trovare soluzioni condivise.
L’incidente diplomatico dice poi che la principale risposta dei governi a un aumento dei profughi, significativo sì, dopo alcuni anni di riduzione, ma non eccezionale (ricordiamo: 1.323.000 richieste di asilo nell’UE nel 2015, 1.261.000 nel 2016), consiste nel tentare di buttare (o di trattenere) i richiedenti asilo sul territorio del vicino: sul versante francese cercando di frenare i cosiddetti “movimenti secondari” transfrontalieri, ossia l’ingresso di persone sbarcate e registrate in Italia, nel caso italiano cercando di trattenerli sulla sponda meridionale del Mediterraneo.
Proprio in questi giorni la premier Meloni ha incontrato un personaggio inquietante come il generale Haftar, signore della guerra in Cirenaica, principale responsabile della guerra civile in Libia: ricevuto con tutti gli onori, purché s’impegni a rallentare le partenze dai porti che (forse) controlla, senza nessun accenno, a quel che è trapelato, sulla tutela dei loro diritti. Un altro messaggio del nuovo scontro tra Parigi e Roma va in direzione opposta alla retorica ottocentesca di cui si è fatto sfoggio nei primi sdegnati commenti di parte italiana: anziché stracciarsi le vesti perché esponenti del governo francese si preoccupano delle politiche italiane dell’immigrazione, lamentando con toni d’altri tempi una lesione della sovranità nazionale, sarebbe forse ora di convenire sul fatto che la gestione dei confini e le misure di accoglienza da parte di uno stato dell’UE incidono inevitabilmente anche sugli altri.
La strada necessaria è quella di una maggiore collaborazione su una materia che i governi continuano invece a voler mantenere gelosamente sotto il proprio controllo, finendo così per perdere tutti in capacità di governo di quella componente della mobilità umana che più li allarma, ossia gli arrivi di profughi in cerca di protezione. Sul tema nessuno in Europa ha credenziali immacolate, ma chi è maggiormente in difetto è proprio l’Italia: è stata e rimane tra i pochi Stati a non aver firmato i due Global Compact dell’ONU, che tentano di promuovere migrazioni “sicure ordinate e regolari” e di tutelare i diritti umani dei rifugiati. Come abbiamo già ricordato su queste colonne, nelle settimane scorse i partiti della destra di governo si sono opposti a Strasburgo alla proposta del Parlamento europeo di riforma della convenzione di Dublino.
Come i cupi sovranisti dell’Europa Orientale. Pensano evidentemente che scaldi di più i cuori dei loro elettori scontrarsi con la Francia in nome dell’orgoglio nazionale, anziché cercare, insieme ai francesi e a tutti gli altri, soluzioni nuove e sostenibili a problemi che si trascinano da anni. La propaganda prevale sulla ricerca di intese, la retorica sovranista sulla responsabilità di governare, la lite da cortile sull’idealismo realista della politica vera.