Come la Samaritana al pozzo: è questa l’icona del mondo contemporaneo che i vescovi a conclusione del Sinodo hanno scelto per raccontare la loro sfida, la sfida della Chiesa per una nuova evangelizzazione. Non c’è uomo o donna che non si ritrovi nella propria vita nella stessa condizione della donna del deserto di Samarìa, con la sua brocca vuota in attesa che sia riempita di nuova acqua. Un pozzo da cui attingere futura sostanza, su cui sedere insieme per qualche tempo l’uno accanto all’altro, Chiesa e mondo, Chiesa e ogni uomo, per scambiarsi «gioie e speranze», interessarsi l’uno all’altro anche quando la speranza sembra essere compromessa, anche quando tutto pare perduto, come in tempo di crisi.Il messaggio dei vescovi inizia con questo colore di vicinanza, con una tonalità di fiducia nel futuro che ricorda alla Chiesa stessa il mandato del Maestro di Galilea: non abbiate paura, anche quando tutto sembrerebbe costringerci alla paura, di consegnare a ogni uomo la buona novella, la sostanza del pozzo, l’acqua viva che disseta per la vita, con nuovo vigore e soprattutto con un nuovo linguaggio, considerati «i mutati scenari sociali e culturali che ci chiamano a qualcosa di nuovo: a vivere in modo rinnovato la nostra esperienza comunitaria di fede». Un cambiamento che vede la Chiesa pronta a fare il suo esame di coscienza per questa vicinanza all’uomo spesso tradita.Una Chiesa che, mentre riconosce l’offerta entusiastica e coraggiosa di tanti suoi membri, non nasconde i suoi fallimenti e soprattutto i peccati dei ministri del Vangelo, che pesano sulla sua credibilità. Ma nella verità che rende liberi, i vescovi annunciano il nuovo possibile e offrono la conversione della Chiesa, la sua disponibilità al cambiamento, come premessa della nuova relazione con il mondo, nella speranza che il mondo cambi alla luce del Vangelo. Conversione è la parola che attraversa il testo, parola positiva mai pronunciata come ripiego moralistico su se stessi, mai richiesta come semplice sottomissione alla regola, ma come consegna ai missionari della Parola del coraggio di una nuova visione per vincere la paura di non farcela a causa della loro debo-lezza: «È nostro dovere vincere la paura con la fede, l’avvilimento con la speranza, l’indifferenza con l’amore ».La crisi del nostro tempo, politica ed economica, crisi dell’egemonia dello Stato, chiede alla Chiesa questa conversione, di metodo e di presenza, a una nuova visione del mondo che riesca a guardare al futuro. Conversione come cambiamento di prospettiva, per guardare all’uomo nella sua specifica consistenza, nella sua situazione concreta di gioie e dolori per incontrarlo nella sua reale esperienza senza giudicarlo, ma con la volontà di chiamarlo amico e di continuare a dirgli la verità. I vescovi sanno che la realtà del nostro tempo è complessa, ma proprio nell’ora – questa – in cui avanzano il peccato dell’ingiustizia, la solitudine degli affetti, il tradimento degli ideali, è necessario gridare l’ottimismo della fede, l’oltre possibile, alle famiglie in crisi, ai giovani in cerca di domani, alle povertà diffuse generate dall’economia diabolica.Esserci nel mondo, essere seduti sul pozzo della verità insieme all’uomo nella consanguineità della stessa fede o nell’appartenenza allo stesso genere umano. Il messaggio dei vescovi sembra essere premessa di novità linguistica per quelle che saranno le successive sue definizioni, per annunciare il positivo, il desiderio di superare ogni crisi con l’ottimismo della speranza e ricordare a tutti che l’ora più buia della notte è sempre quella più vicina alla luce del giorno. La Chiesa si assume una grande responsabilità con il coraggio di farsene carico e con la volontà di riscrivere un linguaggio originale che permetta alla speranza di ritrovare la gioia nel Vangelo.