Una svolta culturale per la famiglia. Aiuti ai figli, vero bonus contro il declino
Lo scrittore e poeta francese Charles Péguy ha meravigliosamente descritto la speranza immaginandola come una «bambina irriducibile», più importante delle altre virtù teologali, fede e carità, perché capace di «vedere quello che sarà» e di «amare quello che sarà». L’Italia di oggi, sempre meno in grado di accogliere bambini, sembra un Paese che fatica a vedere il futuro in termini di speranza.
La denatalità che ci affligge ha molte ragioni, ma non è chiaro se a favorirla sia più un fattore culturale o un motivo economico. Di certo questo vuoto di figli in un Paese che invecchia è un vincolo serio alle possibilità di sviluppo. Molte ricerche hanno dimostrato il legame stretto tra lo scarso numero di bambini in rapporto agli anziani e l’assenza di quei consumi e quegli investimenti capaci di fornire ossigeno alla crescita e toglierne alla deflazione. Eppure sono anni che la politica promette aiuti alle famiglie, tradendo ogni volta le attese. Considerata la drammaticità della situazione, forse è venuto il momento mutare atteggiamento e mettere in campo qualcosa di serio.
Ponendosi in questa prospettiva la sfida culturale è la prima a dover essere affrontata. Non sono solo le risorse economiche a favorire la nascita di bambini. La Germania, insieme alla Francia, è il Paese che più di tutti in Europa destina risorse alle famiglie con prole, eppure il numero di figli per donna (1,47) è di poco superiore a quello italiano (1,35). Molti tedeschi, semplicemente, non hanno intenzione di avere bambini: per tenere in piedi il sistema economico importano popolazione e giovani dall’esterno. Per l’Italia è un po’ diverso. Come ha dimostrato l’Istituto Toniolo, i giovani italiani desiderano una vita con più di due figli. Poi, però, ne mettono al mondo uno se va bene.
È evidente che in questo scarto vi è qualcosa che si inceppa per ragioni occupazionali o economiche. Tuttavia a gravare è anche un’altra componente, meno materiale, e che ha a che vedere con la narrazione della famiglia. Quanta paura è stata trasferita parlando a sproposito del "peso" di avere figli, delle difficoltà che si incontrano a metter su famiglia, dell’impoverimento cui conduce una prole numerosa, o degli ostacoli che si incontrano con il sistema del welfare pubblico e il mondo delle imprese? Un piano a favore della natalità non può che partire invertendo il pessimismo di questo racconto aiutando a mostrare la bellezza e la ricchezza, anche nel sacrificio, della dimensione familiare.
Compreso questo, va però accettato che la negatività della narrazione ha un suo robusto fondamento: non siamo un Paese che evita di incentivare le famiglie con figli, siamo un Paese che le penalizza con metodo. La distorsione di un fisco che guarda solo agli individui, senza correzioni efficaci, permette ad esempio che a parità di reddito familiare un nucleo con un figlio solo viene favorito rispetto a un altro con prole numerosa. Trovare la chiave per chiudere la stagione dell’iniquità e aprire quella della redistribuzione sui bambini è spalancare una porta al futuro.
In termini fiscali il Fattore famiglia continua a essere la proposta più adatta a tradurre questa necessità: se il numero di figli da educare e sfamare azzera lo stipendio, il Fisco e l’indicatore Isee non possono continuare a far finta di niente. Parlando invece di servizi, l’urgenza è un piano che consenta un accesso diffuso agli asili nido: gratuito per chi non può, con una totale detassazione dei costi per chi è chiamato a pagare anche cifre significative. E poi dovrebbe essere venuto finalmente il momento per una regola che consenta una vera "armonizzazione" dei tempi di vita e di lavoro, una prassi, cioè, capace di insegnare alle imprese una visione che riconosce e non occulta l’esistenza delle famiglie.
Discorsi di questo tipo se ne fanno da anni, e il nodo da sciogliere è sempre e uno solo, quello delle risorse. Dove prendere i soldi? La risposta è semplice: dalla volontà. In questi anni vari governi hanno distribuito bonus di vario genere senza curarsi di chiedere la presentazione di indicatori di povertà o di verificare i carichi di famiglia: alle ristrutturazioni, alle cucine, alle finestre, ai condizionatori, ai redditi medio-bassi, agli insegnanti, ai maggiorenni. Il passo necessario in questa fase storica è trovare il modo per superare un antico deficit culturale e riconoscere che favorire la famiglia con figli è un’urgenza.
Per avere un futuro l’Italia deve sapersi trasformare in un Paese in grado di guardare non solo al presente, ma capace di vedere, e amare, anche «quello che sarà».