Il direttore risponde. Aborto, la domanda scomoda
Caro direttore,
il 25 novembre la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne ci ha opportunamente ricordato che quella esercitata sulle donne è una violenza particolarmente esecrabile, imputabile ad ancestrali pregiudizi e tanta ignoranza. La violenza, oltretutto, non si esercita solo con botte e delitti, ma anche con privazioni: di frequentare la scuola, di lavorare, di uscire da casa da sole e a volto scoperto; ed è fatta anche di costrizioni: ai matrimoni precoci e obbligati, alla prostituzione, alle mutilazioni genitali, agli aborti selettivi allo scopo di non far nascere bambine… Tutte odiose realtà purtroppo ben presenti alle varie latitudini del nostro mondo e tutte radicalmente inaccettabili: 'senza se e senza ma', senza nemmeno aggettivi che ne restringono la gravità, compresa quella che lo spot radiofonico trasmesso domenica ha citato per ultima, ovvero l’aborto 'selettivo'. Selettivo? Ma come… è il fatto di essere 'selettivo' ciò che lo rende una violenza subita dalle donne? Non lo sarebbe comunque?
E non diciamo, per lavarci la coscienza, che l’aborto (selettivo o meno) – almeno in certe culture, da noi ad esempio – non è una costrizione ma è un 'diritto', e che la donna spesso si determina per l’aborto di sua spontanea volontà. È ipocrisia. Sappiamo benissimo che altrove anche le mutilazioni genitali sono spesso richieste dalle donne stesse, persino dalle madri per le proprie figlie, per il loro 'bene'.
Sono per questo da considerarsi un diritto? Da loro le mutilazioni, da noi l’aborto. Il fenomeno è figlio della stessa dinamica. Tutto nella donna parla di vita: la sua costituzione, la sua fisiologia, il suo più autentico sentire. L’attaccamento alla vita è per tutti i viventi, ma per la femmina in particolare, istintuale, viscerale, persino prima che umano. È la donna colei che sente un particolarissimo rispetto e attaccamento alla terra: per la sua fecondità, alla natura: per la sua generosità, al debole: per il suo bisogno di vita e di amore. Per la donna non c’è ferita più lacerante di quella causata da una interruzione di vita.
Una donna violentata o rimasta incinta contro la sua volontà, così come una ragazzina abusata, una moglie costretta dal marito padrone alla ennesima gravidanza, una immigrata di cui si è approfittato, una lavoratrice che perde il posto per aver iniziato una maternità, non devono aver bisogno di abortire per riscattarsi, non devono sentirsi costrette a 'riscattarsi'. Riscattarsi da che cosa? Sono vittime: del bruto che le ha aggredite, del trafficante che le ha costrette a prostituirsi, dell’uomo che non le rispetta, del datore di lavoro senza scrupoli, della società che non le ha educate e protette. Eppure adesso, prima che la pancia cresca, sono loro quelle che hanno il 'diritto' di saldare il conto risolvendo il problema.
Possiamo onestamente pensare che sia, questa, emancipazione femminile? Basta, si dice, che l’aborto sia il meno traumatico possibile. È mai possibile, nel XXI secolo, nella nostra civile Europa accettare un simile inganno?
Comodo delegare alle donne l’ingrato e doloroso compito di lavare i panni sporchi di una società maschilista e disattenta che non ha provveduto, non ha visto, non è intervenuta per tempo. Molto comodo, molto perbenista, molto efficace e anche economico: 'incidente' risolto, anzi: di più. Con le famose pillole del giorno (o dei giorni) dopo il problema è sepolto, inesistente, completamente scaricato sulla donna. Occorre proprio che sia 'selettivo' perché l’aborto sia considerato una violenza?
Marina Del Fabbro, Trieste
Il suo ragionamento e soprattutto la sua domanda finale, cara signora Del Fabbro, sono anche i miei, ma come è ovvio con in più una luce tutta femminile (e, se mi permette, una verve utilmente 'femminista') nella scelta delle parole e degli esempi. Credo che li capiscano assai bene, con la ragione e con il cuore, sia coloro che credono sia coloro che non credono. E per questo sono felice di poterli condividere ancora una volta in pubblico, con ogni delicatezza verso le donne e con tutta la forza e la convinzione della mia voce di uomo. Occorre proprio che sia 'selettivo' perché l’aborto venga riconosciuto per la violenza che è sul bambino e sulla madre?