Aborto. Tutta la realtà che la relazione non dice
Caro direttore, la tardiva Relazione ministeriale che analizza e illustra i dati definitivi sugli aborti effettuati nel 2018, di cui si è avuta notizia venerdì scorso, la dice lunga sulle vere intenzioni di chi ha voluto la legge 194 e la sostiene: nulla si annota sull’applicazione delle disposizioni che manifestano una pur tenue preferenza per la nascita (articoli 1, 2 e 5). Cosa risulta circa le cause che inducono la donna all’aborto e in che modo la donna sarebbe stata aiutata «a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza »? Cosa dice la Relazione sulle alternative offerte per evitarla? E cosa sul collegamento tra consultori e realtà che sul territorio aiutano la donna anche prima della nascita?
Anzi, a quest’ultimo riguardo si osserva la prevalenza del «ricorso al consultorio familiare per il rilascio del documento/ certificazione necessari alla richiesta di Ivg (44,1%), rispetto agli altri servizi». Questo ci dice che sarebbe veramente necessaria una riforma dei consultori familiari per sganciarli dalle procedure abortive: se lo Stato rinuncia alla sanzione penale non deve rinunciare a difendere il diritto a nascere. Si legge anche che l’aumentato uso della pillola 'del giorno dopo' e 'dei cinque giorni dopo' ha inciso positivamente sulla diminuzione degli aborti e si aggiunge che «è indispensabile una corretta informazione alle donne per evitarne un uso inappropriato ». Lacune anche qui, perché l’incremento del ricorso a questi prodotti non riduce gli aborti, ma semmai li aumenta perché produce una nuova abortività clandestina, perciò la 'corretta informazione' include anche la conoscenza degli eventuali effetti abortivi di queste pillole, e non solo è necessario evitarne un uso «inappropriato», ma è doveroso denunciare che la diffusione delle pillole del giorno dopo e dei cinque giorni dopo contraddice il divieto contenuto nella stessa 194 di considerare l’aborto un mezzo di riduzione delle nascite.
Cosa si è fatto, insomma, per tutelare - come richiede l’articolo 1 della legge 194 - la vita umana sin dal suo inizio? Dando conto solo di ciò che riguarda gli aspetti mortiferi, emerge che la normativa è stata voluta più per disciplinare l’eliminazione dei figli nel grembo materno (eufemisticamente 'Ivg') piuttosto che per tutelare socialmente la maternità, che comprende la fase della gravidanza e dunque la tutela del bimbo in grembo. Si può pensare a una certa 'inquietudine' del legislatore del 1978 che non se l’è sentita di indirizzare la normativa solo verso l’aborto, ma resta il fatto che la 194 è interpretata e applicata solo in quella direzione, complici le ambiguità presenti nelle parti che dovrebbero favorire la nascita. La lacuna di fondo, la più grave di tutte, è la continua evasività circa la domanda fondamentale su cui oggi più di ieri abbiamo argomenti di scienza e di ragione per rispondere affermativamente: il concepito è un essere umano?
L’aumento degli obiettori fotografato dalla Relazione ministeriale porta a riflettere esattamente su questo punto. Se la domanda fosse almeno posta ci sarebbe una riflessione anche sul ricorso alla pillola Ru486 che la Relazione registra in aumento. Infatti, la cosa inquietante della Ru («pesticida umano », la chiamava Jerome Lejeune) è che la distruzione di un figlio viene realizzata banalmente con un sorso d’acqua per accompagnare l’assunzione di una e poi di un’altra pasticca. Se è vero che il massimo elemento di prevenzione dell’aborto è il riconoscimento dell’individualità umana del figlio che vive e cresce nel grembo della mamma, cosa ha fatto lo Stato in questa direzione a livello culturale ed educativo? Francamente, ignorare questa domanda fondamentale è espressione di un paraocchi culturale che non fa onore a donne e uomini del Terzo millennio. È curioso poi che il principio di precauzione tanto invocato nel campo dell’ecologia sia dimenticato quando è in gioco il diritto fondamentale alla vita. Eppure le questioni che la Relazione non affronta sono imposte da una conoscenza della vera realtà delle donne per le quali impedire la nascita di un figlio è sempre qualcosa di drammatico e doloroso.
Presidente nazionale Movimento per la Vita italiano