Aborto. Quelle firme radicali dissennata negazione dell’aiuto
In questi giorni estivi si raccolgono firme per cambiare la legge 194. Ma chi può inventare un testo, comporlo a suo modo, sottometterlo all’organo che ha il potere di farlo diventar legge o di cestinarlo? Dice la Costituzione che può farlo il governo; può farlo ciascun membro del Parlamento; su certe materie anche i Consigli comunali e regionali; ma infine, ecco, gli elettori, comuni cittadini. Democrazia diretta, sovranità popolare? Non proprio. Il Parlamento resta libero di decidere come vuole anche se le firme fossero una valanga e non le 50mila che vanno raccolte. Non si trova purtroppo negli archivi che una proposta, dico una, di iniziativa popolare abbia ottenuto il placet delle due Aule e sia finita in Gazzetta Ufficiale.
Tappa ultima il cassetto, per non dire il cestino. Resta un atto di propaganda ideologica, di solito su temi normativi mai sopiti del tutto. Le cronache estive raccontano che torna nel mirino delle firme la legge 194. Ancora quella, dopo quattro decenni e mezzo che “si tocca o non si tocca”. Ancora con propositi e umori identici a quelli d’origine, resistenti alla macina del tempo e ai sedimenti del costume. C’è da un lato una bordata dei radicali, per toglier di mezzo una legge che non garantisce un vero diritto all’aborto ma lo consente in determinati e specifici casi. Un ostacolo da “far fuori” (sic) per un vero diritto all’aborto. Dal loro sito trascrivo: « Per far sì che la libertà riproduttiva non incontri più ostacoli morali e amministrativi e possa essere liberamente accessibile per chiunque decida di interrompere una gravidanza». Tra gli ostacoli morali e ammini-strativi, naturalmente l’obiezione di coscienza. L’improntitudine radicale è nota, ha qualcosa di ripetitivo, di déjà vu, di che barba.
Ora viene riesumata una velleità già sepolta nel 1997 dalla Corte costituzionale, quando la proposta di smantellare la 194 con referendum abrogativo fu bocciata perché «travolgerebbe disposizioni a contenuto normativo costituzionalmente vincolato sotto più aspetti, in quanto renderebbe nullo il livello minimo di tutela necessaria dei diritti costituzionali inviolabili alla vita, alla salute, nonché di tutela necessaria della maternità, dell'infanzia e della gioventù». Frattanto, il giudizio negativo che il mondo pro-life ha sempre dato alla legge 194 fa audaci alcune associazioni (non tutte) nel raccoglier firme per inserire nella legge un obbligo per il medico che riceve a colloquio la donna che chiede di abortire: deve farle vedere l’ecografia del feto e ascoltare il suo battito cardiaco.
Una buona intenzione per la vita? Dal lato oggettivo mi pare un errore. Anche in questa iniziativa trovo negletti principi costituzionali: ogni medico sa che nessun atto diagnostico o terapeutico può essere praticato senza il consenso del soggetto, e mai contro il suo volere. Ciò che persuade è l’ascolto accogliente, l’empatia costruttiva, non la pressione che rasenta una specie di tormento emotivo. Le spine della maternità difficile non stanno nel figlio, ma nelle difficoltà vissute come soverchianti il dolore di perderlo. Aiuto alla vita è intervenire sulle difficoltà, soccorrere, risolvere. Chi pensa di lasciare intatto il carico di spine e di confidare nel ricarico del dolore non aiuta la vita. Come diverso è l’approccio di chi offre la visione della nuova vita come ragione di gioioso coraggio e di progettualità condivisa. Ma a ciò non giova la reciproca sordità dei linguaggi ostili. Questa dannata 194 non cambierà per le firme di nessuno.
Cambierà se insieme trarremo infine dalla discarica le promesse tradite che furono scritte e stanno scritte, e che vogliono essere adempiute. La storia si muove così. In Piemonte i propositi di aiuto verso la maternità hanno preso una concretezza che può divenire esemplare. In Umbria si lavora nella stessa direzione. Qualcosa della legge 194 comincia a esser tratto fuori dalla cenere che l’ha fatta bugiarda. È proprio nel colloquio pre-abortivo che la legge esige di « promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto». L’offerta potrà essere rifiutata, è vero. Ma deve esserci. La rabbia dei vetero-abortisti che cominci ad esserci l’aiuto, l’ostilità stessa verso il concetto di aiuto è quanto di più dissennato e antisociale offenda il diritto. Altro che firmare, se restiamo analfabeti nel leggere che «la Repubblica protegge la maternità».