Ancora sull'abito dei consacrati e su ciò che è pienamente degno
Gentile direttore,
a proposito di abito e consacrazione: a me hanno insegnato al catechismo che il primo momento di consacrazione è il Battesimo. È il Sacramento fondativo e individuante per eccellenza. Dunque, se ci vuole un vestito ad hoc per ogni consacrato incominciamo col chiedere a ogni battezzato di portare la veste bianca, ma sempre, ogni giorno. Bisogna che si distingua specialmente nella nostra odierna società. Poi chiederemo agli sposati di portare la loro “divisa”. E ai penitenti di indossare una fascia viola sull’abito bianco. Gli ammalati che ricevono l’unzione portino un drappo rosso sangue su abito bianco. Mentre i preti qualche cosa di nero sul bianco: una mantella per esempio. Suore e monaci non sono tali per sacramento. Scelgano loro cosa mettere oltre la veste bianca. Ma è proprio l’abito che fa il Sacramento? E diventa annuncio evangelico?
Nessuno ha scritto che l’abito fa il Sacramento, forse però qualcuno lo pensa anche se la dottrina cattolica di certo non lo dice. Ma noi due, gentile signor Betelli, non possiamo e, ovviamente, non vogliamo fare il processo alle intenzioni altrui e neppure mettere in discussione le ragionevoli indicazioni e le sagge eccezioni che la disciplina ecclesiale prevede. Per questo, in dialogo con altri due lettori prima di lei, ho parlato semplicemente di «dignità» dell’abito e di «efficacia » dell’annuncio di chi consacra la sua vita alla Buona Notizia che è Cristo. La tuta di un prete operaio, il clergyman di un parroco, la veste lisa di una piccola sorella di Gesù, il saio di una claustrale, la semplice camicetta e la croce al collo di un missionario e l’abito di un cardinale (diversi di loro sono stati preti operai e missionari ad gentes) sono ugualmente degni. Mi colpisce sempre la ricchezza di reazioni che suscitano certi argomenti... . Complimenti per la sua fantasia cromatica.