La situazione di Silvia Romano e l'impegno giusto e necessario
Caro direttore,
è trascorso un anno da quando, il 20 novembre 2018, un gruppo di uomini armati rapì Silvia Romano nel villaggio di Chakama, in Kenya. Ho l’impressione che il Governo italiano, in tutto questo periodo, sia caduto in letargo. Ha fornito solo poche informazioni, ma non dichiarazioni ufficiali sullo stato delle indagini. Insomma, un lungo anno fatto di troppi silenzi e pochi sforzi per riportare a casa questa intraprendente volontaria milanese di 23 anni, che si prendeva cura amorevolmente di bambini africani e compiva sublimi opere benefiche in territorio kenyano. Lo Stato italiano, per favore, s’impegni di più per ridare a questa donna il sacrosanto diritto alla libertà. È vietato quindi spegnere i riflettori su questa angosciante vicenda.
I riflettori in questi casi e in certi frangenti, servono a molto poco. Serve, caro amico, un lavoro paziente e discreto. Purtroppo le notizie di cui abbiamo dovuto prendere nota a metà novembre confermano la delicatezza della situazione di Silvia Romano. Secondo gli inquirenti italiani della Procura di Roma – che cooperano con «servizi di sicurezza locali» – la giovane volontaria italiana sarebbe ora non più in Kenya ma in Somalia, in mano a un gruppo armato legato agli islamisti di al-Shabaab. Posso aggiungere che la viceministra agli esteri Emanuela Del Re segue la vicenda e, a quanto mi risulta, lo fa con grande attenzione e personale partecipazione. Vietato è disperare, vietato è smettere di pregare, vietato è non fare tutto ciò che è giusto e necessario per restituire Silvia ai suoi cari e alla libertà che ha “investito” per i piccoli e per i più poveri.