A Sanremo . Fate sentire «non sparare» (parla a tutti e dà voce ai pacifisti russi)
«I giovani artisti sono tutti andati via», dice Ekaterina Gordeeva rivolgendosi a Jury Shevchuk in una delle puntate del programma “Dillo a Gordeeva” sul suo canale YouTube. Lui replica «E noi invece siamo rimasti. Perché noi siamo Rock and Roll», e fa il gesto col braccio a indicare forza. Lei incalza: «O forse è perché voi siete abituati ? ». Lui ride e chiede: « In che senso? Vuoi dire abituati ad amare la propria patria? Si, è certamente così. Tant’è che tutti i giorni esco di casa e se non abbraccio almeno mille betulle e non piango con loro – come direbbe il poeta Esenin - per me sarebbe una giornata senza senso. Questo è il mio esercizio quotidiano ». Gordeeva risponde stupita: « a a Pietroburgo non ci sono betulle!». Shevchuk risponde: «Se ami il tuo Paese, riesci sempre a trovare una betulla.
La betulla è sacra e non vai da nessuna parte senza. Sai, il senso di madrepatria può essere diverso. La mia, mi dice sempre: Non mentire. Dì sempre la verità. Non essere meschino ». L’intervista di Gordeeva a Shevchuk è – come ci ha abituati la giornalista russa – un contributo alla costruzione di un coro. Una raccolta di voci di quell’altra Russia che mantiene fede a sé stessa non cedendo al bagno di cattiveria avviato da quel maledetto 24 febbraio. La storia del cantautore, del resto, dice tutto di chi è e cosa è stato. Non da oggi bensì attraverso i decenni. Shevchuk canta la società, le sue identità, il suo amore e le sue ruvide e aspre tragedie senza peli sulla lingua, le sue ribellioni, la sua protesta verso le repressioni nel corso delle varie epoche. A cominciare dai suoi nonni e genitori che hanno conosciuto la repressione politica, la vita e la morte dei gulag.
La denuncia delle guerre in Cecenia e Georgia. Oggi il leader dei DDT, il gruppo rock più famoso del Paese, si esprime contro la guerra e l’ha fatto dal primo minuto. Durante l’ultimo concerto che si è tenuto lo scorso maggio nella città di Ufa ha parlato senza mezzi termini dell’orrore della cosiddetta «operazione speciale». Dal palco ha detto: «Vengono uccise persone in Ucraina, ora, e per cosa? Perché i nostri ragazzi stanno morendo lì? Amici, quali sono gli obiettivi per cui muoiono i giovani, gli anziani, le donne, i bambini? A causa di certi piani napoleonici del nostro Cesare di turno?».
Il lunghissimo applauso del pubblico ha dimostrato la condivisione del suo messaggio. Scontata la reazione delle autorità che hanno messo al bando i suoi concerti. Tra le cose accadute in questi mesi in autunno è arrivato il premio Tenco. Non potendo andare a ritirarlo ha inviato un messaggio, che sembra andare dritto anche al cuore anche del festival di Sanremo che si svolge in questi giorni, proprio in prossimità del primo e tragico anniversario della guerra. Anche per questo, si tratta di un messaggio attuale e pertinente.
Un assist di pace che viene dall’interno del Paese aggressore e che è stato rilanciato dal direttore di “Avvenire” agli organizzatori della kermesse canora con l’idea di far cantare almeno una delle canzoni di Shevchuk. Sarebbe un modo per sostenere chi non piega la testa e grida contro la guerra da quella parte del fronte che ha sferrato l’aggressione. E soprattutto sarebbe un’occasione straordinaria per rivolgersi anche a chi dovesse seguire il Festival dalla Russia. Tra questi probabilmente persone di quelle generazioni cui mira di più la propaganda di regime. Proprio per questo cantare “Non sparare” (una delle canzoni più celebri del gruppo), e cantarla a Sanremo, sarebbe in sintonia con la lancinante volontà di pace di tanti in Ucraina e in Italia come in Russia.