Opinioni

Voto e «messaggi» di maggio. A ragion veduta

Marco Tarquinio martedì 17 maggio 2011
Probabilmente, da ieri sera, l’attuale bipolarismo italiano è ben più seriamente in crisi nelle sue vecchie dinamiche e nei suoi vecchi equilibri di potere, mentre il governo di centrodestra è un po’ più stabile. Colpisce come possa risultare al tempo stesso evidente e ambivalente il significato politico di una tornata amministrativa – significato che, stavolta persino più di altre volte, è stato imposto di forza dai principali leader, a cominciare dal presidente del Consiglio SiIvio Berlusconi. Eppure è così. Mentre un anno fa le vittorie del centrodestra divennero preludio soprattutto al deflagrare delle tensioni interne al Popolo della libertà, le sconfitte, le battute d’arresto e le altre "lezioni" subìte in questa consultazione dall’alleanza nazionale di governo Pdl-Lega dovrebbero indurre a rivedere – con giudizio – passo, agenda e linguaggi nell’esecutivo e in Parlamento. Così come potrebbero suggerire alle due diverse opposizioni – il Nuovo polo di centrodestra e il centrosinistra allargato Pd-Idv-Sel (che, in più di una situazione, s’è diviso) – di dedicare tempo ed energie alla costruzione di proposte di coalizione e di governo che sarebbe autolesionista affidare ancora alla pura aritmetica o, magari, a qualche leader "per caso".Viene, dunque, da Milano il dato più squillante di questo maggio elettorale. Nella capitale economica del Paese si andrà al ballottaggio per il nuovo sindaco, e questo era tutto sommato previsto. Ma ci si andrà con Giuliano Pisapia (esponente di quella che un tempo veniva chiamata "sinistra radicale") nettamente in testa nella corsa contro il sindaco uscente Letizia Moratti, e questo era vagheggiato da qualcuno e temuto da altri, ma niente affatto scontato in una città che da circa tre lustri è la stabile base del fenomeno politico berlusconiano. Il secondo dato forte viene da Napoli, e segnala anche qui il protagonismo dell’ala più movimentista delle opposizioni di centrosinistra: al ballottaggio con il candidato sindaco dell’opposizione di centrodestra Gianni Lettieri (in vantaggio, ma non troppo) andrà, infatti, non l’uomo scelto dal Pd, bensì l’ex pm Luigi De Magistris, cioè un esponente di punta dell’Italia dei valori che non si è mai accoccolato all’ombra di Di Pietro. Un terzo dato significativo viene da Torino dove Piero Fassino – co-fondatore di un Pd un po’ più ricco e aperto dell’attuale (grazie alla presenza di esperienze diverse da quella diessina da cui lui stesso proviene, esperienze in parte oggi "espulse") – ha vinto nettamente al primo turno "doppiando" il suo avversario e confermando la maggioranza di centrosinistra dopo gli otto anni dell’era Chiamparino. Il quarto dato riguarda diverse forze politiche, variamente schierate. In un momento nel quale i due grandi alberi (Pdl e Pd) del malmesso bipolarismo italiano apparivano più scossi, i frutti dello scontento sono caduti senza regola fissa e soprattutto dove non li si attendeva. Così la Lega Nord non ha affatto goduto delle palesi difficoltà del Pdl; il Nuovo polo – pur potenzialmente decisivo in più di un ballottaggio – sembra aver diviso per tre i voti dell’Udc e non è riuscito a essere "terzo" ovunque; l’Italia dei valori ha messo a segno alcuni colpi a effetto, ma è stata superata in più di una grande piazza urbana sia dai vendoliani di Sel sia (in particolare al centronord) dagli amici di Beppe Grillo raccolti nelle liste Cinquestelle.Ma non c’è dubbio che il segnale più eloquente è per Berlusconi. Il premier ha voluto e guidato una sorta di campagna referendaria su se stesso e il raccolto per il suo partito e per l’intero centrodestra (soprattutto nelle città simbolo) è stato magro, il più magro da anni. Tanti faranno i conti con questo dato, e il Cavaliere che è anche un realista non potrà certo tirarsi indietro. C’è un elettorato che non accorre alle urne "a comando" e che comunque (e questo è un messaggio trasversale) è sempre meno disposto a votare solo "contro" o solo guardando alle note questioni dibattute da anni attorno o dentro alle aule di giustizia dove il premier è atteso o convocato. Abbiamo, poi, il fondato sospetto che questo elettorato renitente al plebiscito sia largamente "moderato" e questo, forse, spiega perché non ami affatto i comportamenti eccessivi, i ricorrenti toni incendiari di certa polemica e la preoccupante "distrazione" sulle questioni più impellenti per la gente che vive, lavora, mantiene la famiglia e paga regolarmente le tasse. Oltre che con i numeri bisognerà fare i conti anche con questi uomini e donne che votano (o non votano) a ragion veduta.