Lo scenario. A Parigi prevale ancora la logica dei "due terzi"
Anche a Parigi, come a Londra, un sistema elettorale specifico traduce i voti in seggi e possibilità di governare. Il ballottaggio delle elezioni francesi consegna una “rivoluzione” rispetto al primo turno, ai sondaggi e alle aspettative, perché hanno funzionato le desistenze nei collegi e, in parte, ha pesato la maggiore affluenza alle urne. Il Rassemblement national conserva il 32 per cento dei suffragi ottenuto alle Europee e si consolida come espressione di un terzo del Paese, conquistato dal messaggio di diffidenza, se non ostilità, verso i migranti e i francesi di seconda e terza generazione; dall’antieuropeismo generalizzato; e dalla contestazione a un sistema che viene dipinto come responsabile dell’impoverimento del ceto medio e delle zone rurali.
Contro questo terzo di Francia si è schierato e ha vinto l’“altro” Paese dei due terzi, quello che si è coalizzato per sbarrare la strada verso il governo a Jordan Bardella e Marine Le Pen. Si spiega così il successo del Noveau front populaire e la sconfitta contenuta di Ensemble!, con la quale Macron evita il tracollo totale che sembrava dietro l’angolo solo una settimana fa. Questo non cambia segno alla sua scommessa azzardata del 9 giugno, quando decise di sciogliere l’Assemblea nazionale senza consultare nessuno. Il risultato dice che resta un interdetto per la destra al potere, più forte delle divisioni fra gli altri partiti (che pure non sono piccole) e nello stesso elettorato, che ha scelto di andare numeroso ai seggi per esprimere la sua contrarietà a una svolta che non sarebbe stata anti-democratica ma certamente foriera di un cambiamento radicale.
Ora si apre uno scenario molto complesso, in cui formare un esecutivo sarà particolarmente complicato. Il fronte popolare è composto da diverse anime, la più scomoda per tutti è quella della France insoumise, formazione di estrema sinistra che ha un programma economico di spesa pubblica insostenibile, accentuate inclinazioni per il fronte palestinese (con punte di antisemitismo) e radicata antipatia per il presidente in carica (del quale, loro alleato nel secondo turno, alcuni hanno chiesto addirittura le dimissioni). Jean-Luc Mélanchon adesso potrebbe pensare alla corsa per l’Eliseo fra tre anni. Oggi, però, nessuno lo vuole in una coalizione per portare un premier a Palazzo Matignon.
Ci vorrà molta dell’audacia e dell’intelligenza politica di Emmanuel Macron per risolvere il rompicapo, forse con un’alleanza di centrosinistra dai numeri risicati. Se Parigi festeggia (nella capitale Le Pen non ha mai sfondato) ma deve fare i conti con l’incertezza e l’instabilità, l’Europa ha qualche motivo in più per rallegrarsi. Infatti, il terzo posto del RN indebolisce le forze sovraniste ed euroscettiche e restituisce piena coerenza alla linea internazionale della Francia, soprattutto nei confronti dell’Ucraina.
C’è qui da segnalare che non ha certo giovato a Bardella il “bacio” di Mosca, con le dichiarazioni durante il voto del ministro degli Esteri Lavrov circa un furto di democrazia con le desistenze ai danni del Rassemblement national. Della sorpresa delle urne francesi ci sarà ancora molto da ragionare. Il primo e più chiaro messaggio è che le forze populiste non arretrano (Le Pen guida in ogni caso il primo partito del Paese) ma trovano spesso un blocco eterogeneo che impedisce loro di ottenere il successo pieno.