Editoriale. Oltre le apparizioni: cosa c'è di davvero nuovo nella nota su Medjugorje
Il testo pubblicato dal Dicastero per la Dottrina della Fede «sull’esperienza spirituale legata a Medjugorje» si definisce modestamente come una “Nota”. Però dichiara fin dall’inizio di proporsi come una «conclusione». L’incipit è persino un po’ solenne: «È arrivato il momento di concludere una lunga e complessa storia attorno ai fenomeni spirituali di Medjugorje» (Nota, 1). Il testo è trasparente nel ricordare che questa storia è anche una vicenda abitata dal conflitto delle interpretazioni («opinioni», dice il testo). Nello stesso tempo, le conclusioni che il documento vuole puntualizzare non vanno riferite a qualcuna delle opzioni che sono entrate in gioco in questa storia: i criteri di apprezzamento degli eventi sono quelli messi a punto dalle Norme per procedere nel discernimento di presunti fenomeni soprannaturali, che il Dicastero ha promulgato il 17 maggio. Questo significa – precisa il testo – che «la prospettiva dell’analisi è assai differente da quella utilizzata in studi anteriori».
Neppure io farò riferimento alle opinioni precedenti su questa storia complessa. Più utile mi sembra cercare di apprezzare la novità dell’orizzonte che il testo apre alla considerazione dell’apporto alla fede che proviene da eventi di questo genere, una volta che in essi venga cercata anzitutto la forza – dell’esperienza spirituale che essi generano presso “i terzi”, più che la “fisica” soprannaturale dei fenomeni, o l’esaltazione “mistica” dei soggetti.
La prima deduzione interessante che viene da questa accentuazione sul destinatario della grazia mi sembra la bella consonanza che essa presenta con la dottrina dei carismi esposta da Paolo, là dove l’Apostolo puntualizza il criterio supremo dell’utilità comune (1 Cor 12, 7). Prima e al di là di ogni effetto prodigioso, prima e al di là di ogni privilegio personale, i doni della grazia – anche i più sorprendenti – sono sempre per altri, nello spirito di agape. Ed è in questo spirito che devono essere esaminati. I portatori della grazia non sono necessariamente di virtù eccelsa o di santità eroica. Sono anche potenzialmente pieni di limiti: di conoscenza, di esperienza, di lucidità. Sono anche debitori di luoghi comuni e di espressioni confuse della fede, che la religiosità popolare e gli automatismi culturali della lingua di cui dispongono possono portare all’equivoco.
Lo spostamento di accento che più colpisce nel documento del Dicastero è proprio questo: la vita dei presunti veggenti, come anche gli eventi delle cosiddette apparizioni, passa decisamente in secondo piano. La qualità dell’esperienza spirituale – anche molto forte, ma scevra di fanatismo – che il riferimento a Medjugorje come luogo speciale di devozione mariana ha prodotto e produce in coloro che non ne sono stati protagonisti appare come la parte più emozionante e meno contestabile dell’evento.
Su questa dimensione – quella dei «frutti» di grazia per «altri» – pone il suo accento questo documento: indicando una strada anche per il futuro.
In primo piano viene «il luogo»: non tanto come sito delle apparizioni bensì come habitat della devozione. Il suo modo di abbracciare e di contenere gli affetti della fede ha mostrato negli anni la sua capacità di generare conversione anche profonda della vita, vocazione autentica della dedizione, vitalità impensata della vita secondo lo Spirito. In questo contesto, la parrocchia di Medjugorje è stata essa stessa rinnovata come creatura della grazia: deve essere riconosciuto il fatto che la sua pastorale della devozione e dell’intercessione mariana è di qualità più che apprezzabile. Questo spostamento d’accento, dal luogo dell’apparizione al luogo dell’adorazione di Dio in spirito e verità, attraverso la speciale potenza di un’affezione mariana della grazia che ha raggiunto Medjugorje, avvicina molto la speciale comunità che si è formata, in Medjugorje e con Medjugorje, alla comunità cristiana di ciascuno di noi. E questo rende più facile pensare al dono che essa porta per la comunione ecclesiale, non semplicemente per una devozione privata.
Il secondo elemento di rilievo – e di novità, rispetto ad altri pronunciamenti del passato – è la speciale cura che il documento del Dicastero dedica alla recensione tematica e al discernimento ermeneutico dei “messaggi”. L’asse dell’interpretazione si sposta massicciamente, rispetto all’inclinazione precedente: si può dire che la recensione dei messaggi occupa la quasi totalità del documento. L’orientamento è quello di una forte valorizzazione del filo rosso che li percorre: essi portano, insieme con i prevedibili accenti della devozione tradizionale, elementi di straordinaria sensibilità per il clima ecclesiale ed epocale odierno. Elementi che sono per lo più espressi nella lingua del catechismo popolare e del senso comune: e quindi suscettibili di imprecisione e di equivoco, se esaminati come asserti teologici formali. Eppure, elementi che possono essere estratti come anticipazioni di uno spirito che proprio oggi chiede di essere coltivato. Per esempio, il tema della pace fra le etnie e i popoli, oppure il tema della fraternità che deve legare, in profondità, anche i membri di culture e religioni differenti.
Se teniamo conto del fatto che il contesto geo-politico e geo-religioso della piccola Medjugorje è stato destinato dalla storia recente a inaugurare una nuova fase – oggi acutissima – del ritorno di conflittualità etnica e religiosa, potremo scoprire anche noi che la luce che questo documento getta sugli eventi mariani della piccola contrada è tutt’altro che un esercizio di accomodamento. La “Regina della Pace” sapeva di quale conversione – tutt’altro che miracolistica – avremmo avuto presto bisogno.