Ambiente&Salute. Auto diesel: a cosa servono (e a cosa no) i blocchi della circolazione
Dallo scandalo Dieselgate in poi, cioè da quando, nel 2015, è emerso che diverse case truccavano i test sulle emissioni, le auto alimentate a gasolio sono diventate il nemico numero uno da combattere nelle città. Ma i diesel sono veramente così pericolosi? Qual è l’impatto reale sull’ambiente e sulla salute? E, soprattutto, il danno procurato dai veicoli a gasolio rispetto ad altre fonti di inquinamento giustifica tanto accanimento? Sono domande legittime, che la gente si pone sempre più spesso di fronte alle limitazioni che generano tanti disagi. Il sospetto che dietro la “campagna” anti-diesel possano celarsi interessi industriali in effetti è andato crescendo col tempo: su 10 veicoli diesel venduti nel mondo, ben 7 sono comprati nell’Ue. Si tratta cioè di un prodotto molto europeo di un’industria molto old-economy, mentre nuovi soggetti tecnologici e nuovi Paesi si stanno imponendo nel mercato automobilistico. In realtà tanto successo dei veicoli a gasolio è dovuto anche a un vantaggio fiscale che in Europa premia questo carburante rispetto alla benzina con sconti sulle accise che vanno da 10 al 40% (in Italia oggi siamo al 13%). Un trattamento di favore che si giustifica sempre meno: molte ricerche dicono che l'ostilità verso le auto a gasolio ha validissime ragioni, soprattutto nelle città, anche se le misure d'emergenza hanno un effetto pressoché nullo.
Gli effetti sul clima
Quando si parla di tutela dell’ambiente una delle preoccupazioni principali riguarda le emissioni di CO2, per gli effetti che l'anidride carbonica ha sul surriscaldamento climatico. I veicoli a gasolio sono sempre stati considerati più efficienti ed “ecologici” di quelli a benzina in quanto consumando meno emettono circa il 20% in meno di CO2. Alcuni studi recenti hanno però dimostrato che tra benzina e diesel non c’è molta differenza, anzi: complessivamente un’auto diesel sarebbe responsabile di più CO2 emessa rispetto a un modello a benzina se si tiene conto anche del processo di raffinazione del gasolio e delle differenze nella produzione dei motori (analogo discorso si può fare per il gas auto). In città tuttavia la gran parte della CO2 arriva dalle combustioni degli impianti di riscaldamento e delle industrie, mentre il trasporto su strada incide al massimo per il 15%.
Oltre il Dieselgate
Passando dal clima alla salute delle persone, il primo problema dei veicoli a gasolio è rappresentato dagli ossidi d’azoto. Lo scandalo “Dieselgate” ha origine proprio dalla difficoltà che le case hanno incontrato nel rispettare i limiti di NO2, che è il risultato di ogni tipo di combustione e a sua volta è responsabile della diffusione di altri inquinanti secondari (come l’ozono o il particolato fine). L’NO2 causa problemi all’apparato respiratorio e nelle città è dovuto principalmente al traffico veicolare, in particolare proprio ai mezzi a gasolio. Il diossido d’azoto non è il peggiore degli inquinanti, tuttavia secondo l’Agenzia europea dell’Ambiente il 7% dei cittadini europei vive in aree con alte concentrazioni di NO2 e questo causerebbe 68mila morti premature ogni anno. Dopo il Dieselgate si pensava di aver risolto il problema, in realtà una serie di test effettuati dall’Ong Transport&Environments sui veicoli in strada ha dimostrato che anche le motorizzazioni più recenti, Euro5 ed Euro6, possono avere emissioni 5-6 volte superiori rispetto ai limiti consentiti. In Europa oggi circolerebbero 43 milioni di diesel con meno di 10 anni (5,2 milioni in Italia) che inquinano ancora più di quanto dovrebbero. Forse i limiti sono eccessivi, o forse no, il problema del diesel resta la difficoltà “industriale” a rispettarli.
Polveri di città
Nelle città il particolato fine è considerato il principale nemico per la salute: i blocchi vengono decisi proprio in base ai livelli delle cosiddette polveri sottili. Pm10 e Pm2,5 sono prodotti dalle combustioni, dalle erosioni e dalle azioni meccaniche (ad esempio dall’attrito dei freni o dal consumo degli pneumatici). I veicoli diesel hanno una parte significativa di responsabilità, ma non tutta. A livello nazionale i riscaldamenti producono quasi il 70% del Pm2,5. In Lombardia all'incirca la metà delle emissioni di particolato, stando alle rilevazioni dell’Agenzia regionale per l’Ambiente sul ruolo dei combustibili, si deve alle stufe a legna o pellet e ai camini, un terzo arriva da vari tipi di erosione o attrito, i diesel sono al terzo posto, con un contributo attorno al 10-15%, mentre le auto a benzina hanno un peso pressoché nullo. Il problema è che un dato medio regionale, che mixa lo smog in città e in montagna, vale poco: nell’area metropolitana la “responsabilità” del traffico e dei mezzi a gasolio aumenta considerevolmente, fino a raggiungere percentuali del 40%. Il particolato in Europa è la principale causa di morti premature dovute allo smog, 430mila l’anno, e tra queste ben 20.000 solo in Italia. La questione riguarda soprattutto le vecchie motorizzazioni diesel, fino agli Euro4. Il problema del particolato è che quando l’aria nelle strade ne è piena, solo la pioggia o un forte vento riescono a spazzarlo via: per questo bloccare i veicoli diesel una volta che il danno è fatto non riesce a far rientrare il particolato nei limiti.
Un incubo ultrafine
L’innovazione tecnologica sembra aver risolto diversi problemi legati all’inquinamento prodotto dalle auto. Purtroppo per i diesel gli incubi sembrano non finire mai. Lo sviluppo che ha permesso di abbattere il particolato avrebbe infatti solo spostato il problema. Oggi il nuovo nemico si chiama “polveri ultrafini”: sono particelle ancora poco studiate, tanto è vero che al momento non esistono limiti, ma alcune ricerche sostengono essere molto più dannose del particolato perché penetrano nel sangue e dunque possono arrivare a vari organi e al cervello. Sono causa di infarti e tumori e si è visto che riescono anche a oltrepassare la barriera placentare e giungere al feto. Cosa c’entra il diesel? Il fatto è che il 90% delle particelle emesse dai nuovi diesel sarebbero proprio polveri ultrafini, che rispetto a quelle emesse dalle auto a benzina hanno altissime concentrazioni di Idocarburi aromatici policiclici (Iap) e benzopirene, le sostanze più pericolose. In attesa di nuove e più approfondire ricerche su questo fronte, per i motori a gasolio il futuro sembra una strada sempre più in salita.
Una svolta industriale?
La lotta all’inquinamento richiede interventi di ampio respiro, che coinvolgano non solo il traffico veicolare, ma anche le industrie, l’agricoltura, gli impianti di riscaldamento. I veicoli diesel non sono l’unico problema, tuttavia se ci si concentra sul traffico le ragioni per metterli nel mirino sono tante, soprattutto nelle città. Non è solo una questione di salute: uno studio condotto a Barcellona ha mostrato che i bambini che frequentano scuole in zone ad alto traffico hanno dato risultati mediamente peggiori in una serie di test cognitivi. Insomma, la questione è seria. E il peso politico delle metropoli avrà la meglio: la popolazione mondiale si concentrerà sempre più nelle aree urbane e questo spingerà sempre più l’industria verso la produzione di veicoli con emissioni "locali" ridotte: auto ibride, elettriche, a idrogeno.
Nuovi stili di vita
La transizione è già iniziata. Sarà un cambiamento non indolore: l’addio al diesel in Europa costerà migliaia di posti di lavoro. Politica e imprese hanno il compito di capire come innovare la produzione e sostenere, agevolandole, le scelte “ecologiche” dei consumatori. Eppure sarebbe un errore cedere alle semplificazioni ideologiche. La lotta contro i veicoli a gasolio ha il rischio di far perdere quella visione più ampia che dovrebbe caratterizzare ogni preoccupazione ambientale e per la salute. Dove e come verrà prodotta l’energia per alimentare le auto elettriche? Ha senso fermare un veicolo utilizzato una volta al mese per pochi chilometri invece di uno guidato intensamente tutti i giorni? E quali sostegni si danno a una mobilità veramente sostenibile e a basso impatto? Le misure d'emergenza si è visto che sono inutili rispetto agli interventi strutturali. Il messaggio che chi inquina un po’ meno è libero di consumare molto di più rischia di avere effetti controproducenti. Avere cura dell’ambiente in cui si vive significa soprattutto saper modificare gli stili di vita a livello personale e su larga scala. E questa è la sfida più difficile.