8 marzo, lavoro, famiglia e maternità. Il fantasma della parità
L'8 marzo è qui e non sembra essere cambiato molto dallo scorso anno. Le donne continuano a essere meno occupate degli uomini, a guadagnare meno degli uomini, a ricoprire meno incarichi di responsabilità rispetto agli uomini, a essere molto più affaccendate degli uomini nelle mansioni di casa anche se sono occupate fuori. Certi cambiamenti sono lenti, e giornate come la Festa della donna servono anche a ricordare i tanti gap che resistono tra i due sessi. Non perché si debba uniformare, ma perché ci sono ambiti in cui la differenza può diventare discriminazione, non rispetto. C’è però un dato che in questi giorni pochi metteranno in luce, perché parlarne l’8 marzo è tabù: è il numero delle donne che non diventano mamme.
Lo scorso anno in Italia sono nati 474mila bambini, l’ennesimo record negativo, 12mila culle in meno rispetto al 2015. Ci troviamo all’interno di una trasformazione epocale. Non è solo un problema di generazioni che sempre meno fanno esperienza della maternità e della paternità, è il perimetro stesso della famiglia a essere aggredito: le coppie con figli sono ormai in minoranza, il 22,5%, rispetto a quelle senza prole (25%) e ai single. Fino a che punto è una libera scelta? Quando in un Paese i bambini che nascono calano di anno in anno, al punto da diventare un problema per la tenuta del sistema sociale e del welfare futuro, oltre che di diritti negati nella realizzazione di un progetto di vita, c’è una questione che chiama in causa la politica, e c’è anche una difficoltà che riguarda in particolare le donne.
L’8 marzo non è la festa della mamma, il rischio è che diventi il suo opposto. E purtroppo ciò che accade non è quasi mai una scelta voluta. Uno studio dell’Istituto demografico di Vienna ha messo in luce che la generazione di donne nate in Italia negli anni 70 sperimenta un tasso di infecondità del 20%, e le proiezioni dicono che ci si sta avvicinando al 25%, più del doppio delle madri o delle zie nate negli anni 40. Una donna su quattro senza figli ci riporta agli anni in cui gli uomini non c’erano perché decimati dalle due guerre mondiali. Eppure solo il 3-5% delle donne oggi dichiara di non avere avuto figli per libera scelta.
E allora che cos’è che impedisce di diventare madri? Forse gli ostacoli di carattere economico, l’organizzazione del lavoro penalizzante, le politiche familiari poco sviluppate, le difficoltà a conciliare, la scarsa sensibilità di tanti uomini poco collaborativi, o anche un certo contesto culturale. «Viviamo in una società che fa finta che le donne non debbano crescere per diventare madri», ha scritto sull’Huffington Post Samantha Johnson, femminista che una volta diventata madre si è dichiarata «delusa» da un certo femminismo.
Spesso si evidenzia che nei Paesi in cui il tasso di occupazione femminile è più alto nascono più figli, come avviene nel Nord Europa, dove si raggiungono livelli del 60-70% contro il 47% dell’Italia. Come a dire che è il lavoro a fare la differenza. Quasi sempre ci si dimentica però di evidenziare che in quei Paesi il part-time è molto più diffuso, un posto ogni 4 è a tempo ridotto, e le donne scelgono di farne ricorso in maniera massiccia, così come le politiche di conciliazione sono più avanzate, l’organizzazione più funzionale alla famiglia e la divisione dei compiti a casa è meno rigida.
La prospettiva culturale dominante può rappresentare un freno alla natalità anche nel momento in cui attribuisce un valore elevato al successo raggiunto secondo percorsi di carriera che escludono la famiglia, e può generare un senso di inadeguatezza o di fallimento in chi non realizza la sua vita in base a quello schema. Dovremmo essere abbastanza bravi da riuscire a incidere su questa visione, e a ricordarcene anche l’8 marzo. Non è un discorso a senso unico, vale anche per gli uomini. Ma è un argomento che le donne dovrebbero inserire più spesso nell’agenda dei diritti. A maggior ragione in un’epoca in cui – a forza di contratti e sentenze frutto di rivendicato progresso – per diventare padri gli uomini possono fare a meno della madre del bambino, "affittandola" per il tempo necessario.