Pontificato. La missione di papa Francesco, il viaggio in Iraq e questi otto anni
C’è un aspetto, tra gli altri, che in otto anni di pontificato l’attuale Successore di Pietro non aveva ancora rivelato in modo distinto: come nasce la scelta dei suoi viaggi, qual è la loro genesi. Ne ha fatto suggestivo cenno alla fine del viaggio in Iraq. Il "viaggio dei viaggi", si è detto, certamente storico per la portata e per più di un passaggio, ma che forse va ancora meglio capito.
Anche alla luce di queste sue affermazioni rilasciate sul volo di ritorno da Baghdad che immettono in una dimensione prettamente spirituale, di lungo colloquio con Dio. Perché come il Papa stesso ha affermato rispondendo alle domande dei giornalisti, i viaggi si «"cucinano" nel tempo», nel tempo della sua «coscienza», e che per attuare anche quest’ultimo nella terra di Abramo aveva «pensato tanto», «pregato tanto» e alla fine aveva «preso la decisione, liberamente, che veniva da dentro».
E a chi gli chiedeva dei rischi a cui poteva esporre se stesso e gli altri, date le contingenze, ha risposto: «Colui che mi dà di decidere, si occupi della gente. E così ho preso la decisione, così, ma dopo la preghiera e dopo la consapevolezza dei rischi. Dopo tutto». Perché nessun viaggio nasce senza «ispirazione». E ancora: «Ascolto i consiglieri e alla fine prego, prego, rifletto tanto, su alcuni viaggi ho riflettuto tanto. E poi la decisione viene da dentro: si faccia! Quasi spontanea, ma come un frutto maturo. È un percorso lungo».
Era il 2007 quando, in una intervista, l’allora cardinale Bergoglio mi spiegò l’episodio biblico del profeta Giona nel contesto della missione. Disse, quattordici anni fa: «Giona aveva tutto chiaro. Aveva idee chiare su Dio, idee molto chiare sul bene e sul male. Su quello che Dio fa e su quello che vuole, su quali erano i fedeli all’Alleanza e quali erano invece fuori dall’Alleanza. Aveva la ricetta pronta.
Ma Dio irrompe nella sua vita come un torrente. Lo invia a Ninive. Ninive è il simbolo di tutti i separati, i perduti, di tutte le periferie dell’umanità. Di tutti quelli che stanno fuori, lontano. Giona vide che il compito che gli si affidava era solo dire a tutti quegli uomini che le braccia di Dio erano ancora aperte, che la pazienza di Dio era lì e attendeva, per guarirli con il Suo perdono e nutrirli con la Sua tenerezza. Solo per questo Dio lo aveva inviato. Lo mandava a Ninive».
Lo scorso 7 marzo nella Piana di Ninive, a Qaraqosh, nella terra del profeta Giona, Jorge Mario Bergoglio oggi nella veste bianca di Francesco entrava nella cattedrale di Al-Tahira attorniato dalla folla che agitava palme cantando in aramaico, lingua madre del cristianesimo siriaco in Iraq, quella parlata da Gesù.
«Santità la accogliamo oggi come i niniviti accolsero "Giona, il predicatore della verità", secondo la nostra tradizione siriaca», gli ha detto il patriarca siro-cattolico presentando la comunità cristiana di Qaraqosh, dove il cristianesimo risale al tempo degli Apostoli.
Francesco si è così portato anche nei luoghi emblematici dell’apertura alla missione. E portandosi alle origini dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni, da questo luogo sorgivo di fede e fratellanza, dalla terra del nostro padre Abramo, dove si è accanita l’opera diabolica dell’odio e della divisione, papa Francesco ha fatto ancora una volta spiritualmente progredire la Chiesa lungo la dorsale di quelle che sono le strade maestre indicate dal Concilio.
Tra le quali spicca la risalita alle fonti del Vangelo, il dialogo interreligioso, la ricerca della pace e una rinnovata missionarietà, che sono il "segno" di questi otto anni di pontificato, a partire dall’Evangelii gaudium, espresso in modo "programmatico" già la sera stessa dell’elezione, nel primo saluto, nella prima preghiera e nella prima benedizione dal balcone di San Pietro. Questo solo per dire quanto in fondo sia ancora inesplorata la filigrana profonda del pontificato e quanto l’ampiezza di orizzonte di questo prima Papa di nome Francesco non si esaurisca in facili rimandi e luoghi comuni.
Se a otto anni dall’inizio del suo ministero Petrino, il Papa debba infatti ribadire come le sue peregrinationes «non sono un capriccio, e sono anche la linea che il Concilio ha insegnato», la dice lunga sul livello di ricezione del suo magistero da parte di alcuni... E come, proprio su quella «linea che il Concilio ha insegnato», ci sia ancora tanto bisogno di insistere affinché si comprenda cos’è la Chiesa e la sua missione.