Napoleone e Manzoni. 5 maggio, in morte di uno sconfitto che sa
Che cosa ci viene in mente il 5 maggio, la morte di Napoleone o l’ode del Manzoni? Non sono contemporanee: noi siamo portati a credere che il 5 maggio morì Napoleone e Manzoni, turbato e sconvolto, si mise subito a scrivere l’ode di addio. Non andò così. La morte di Napoleone il Manzoni venne a saperla solo il giorno 17 luglio 1821, leggendo a casa sua la 'Gazzetta di Milano' del giorno prima. La 'Gazzetta' parlava di una conversione dell’imperatore in punto di morte, e questo fa di Napoleone un perfetto personaggio manzoniano, condensando nella sua vita il potere militare assoluto, il dominio politico incontrastato, l’impronta dominante sulla civiltà di un’epoca, e il riesame della vita alla luce della morale cattolica.
Sono le fasi che messe insieme compongono la storia di un uomo come strumento della Provvidenza. Non è grande in quanto uomo, è grande in quanto strumento. Nell’ode di Alessandro Manzoni ci sono due momenti in cui vien posta la domanda sulla grandezza e sulla durata dell’opera umana. Uno è quando il poeta s’interroga sulla 'gloria' di Bonaparte: 'Fu vera gloria?', e svicola senza dare una risposta, lasciando il lettore nell’incertezza. La risposta potrebbe essere 'sì' ma potrebbe anche essere 'no', e comunque non è un 'sì' immediato, semmai è un 'sì' che viene demandato ai posteri di un secolo o due secoli dopo. Cioè a noi. L’altro momento in cui scatta la domanda sulla durata dell’operare umano è quando il Manzoni parla di questa sua ode, e dice 'che forse non morrà', che potrebbe durare per sempre. Espressione sorprendente perché di smisurato orgoglio.
Ma non è un orgoglio estetico, è un orgoglio etico: il Manzoni si sente come colui che celebra un rito sacro, e per celebrare un rito dev’esserne degno, e questa degnità il Manzoni se l’è costruita evitando di commettere verso l’imperatore quand’era all’apice del potere il peccato del servilismo, e quand’era caduto nella disgrazia il peccato dell’oltraggio. Si è mantenuto 'vergine', per questo adesso può sperare che il suo canto 'non morrà'. Manzoni non era un autore che s’impelagasse in polemiche con i contemporanei, perciò non credo che qui volesse far passare una disapprovazione verso Ugo Foscolo, che nei riguardi di Napoleone qualche abbordaggio l’aveva tentato, per poi pentirsene. Manzoni tira dritto per la sua strada. E gli pare che il senso di Napoleone consista nel conciliare due secoli, Settecento e Ottocento, sedendosi come arbitro in mezzo a loro.
'Ei si nomò' mi pare corretto intenderlo come 'si nominò', 'si presentò', 'pronunciò il proprio nome', e i due secoli si sottomisero, come aspettando il Fato. Vedo che c’è chi l’intende come 'si autonominò', s’incoronò imperatore da sé stesso, strappando la corona dalle mani del Papa e ponendola sulla propria testa. Forzatura non necessaria ma figlia della concezione di Napoleone per cui il potere non rimanda ad altro che a sé stesso, e non serve ad altro che ad accrescere se stesso: il potere è potere se non c’è niente al di sopra di esso. Il Napoleone di Manzoni chiude la vita abbracciando il sistema opposto, scopre che al di sopra di lui c’è Tutto: aveva vissuto da potente che non sa, muore da sconfitto che sa. Per il potente-Napoleone la scala dei valori era una sola, c’era il potere e basta. Per il Napoleone di Manzoni la scala dei valori è una sola, c’è il Bene e basta. È interesse dell’umanità che prevalga la seconda scala. Per questo il 5 maggio ricordiamo la morte di Napoleone ma anche l’ode del Manzoni. Senza quell’ode, la morte di Napoleone sarebbe un’altra cosa.