Il direttore risponde. Schumacher: la saggezza del passo indietro
Sergio Pietri
Premesso che non sono un «appassionato» di corse, nel senso che non pianifico certo gli impegni domenicali per essere puntuale all’appuntamento con la Formula 1, mi pare di poter ugualmente dire qualcosa sulla vicenda che ha dato spunto alla sua lettera, caro Pietri. Il passo indietro, se così vogliamo definirlo, di Michael Schumacher può avere deluso molti, ma a me sembra restituirci l’immagine di uno sport più “umano” che sa fermarsi prima del limite estremo. La rinuncia a tornare in pista, alla cui base ci sono stati evidenti problemi fisici (lesionata l’arteria vertebrale sinistra per una caduta in moto), priva la F1 di uno straordinario personaggio, ma assai peggio sarebbe stato forzare la mano al destino per il solo gusto di rivederlo in pista. E verificare se, a tre anni dal ritiro, sarebbe stato ancora in grado di vincere. Il drammatico incidente di Felipe Massa in una stagione travagliatissima per la F1 – arrivata a un passo dalla scissione tra le scuderie e la Federazione internazionale – e i risultati non brillanti della Ferrari, avevano finito per concentrare tutta l’attenzione su Schumacher. Serviva un campione, un uomo in grado da solo di risollevare il grande circo dei motori, garantendo alti ascolti in tv e l’interesse di sponsor e media, il pane quotidiano di cui vive la F1. La quale, per un anno intero, ha occupato il suo tempo in una logorante diatriba sui regolamenti, con la Ferrari che ha portato avanti con decisione la sua battaglia. Non si possono stravolgere le norme senza coinvolgere chi ha un ruolo tanto fondamentale nell’intero «edificio» del campionato. A Schumacher si chiedeva di tornare al volante, a 40 anni, solo per capire se era ancora lui il “migliore”. Come se un Gp vinto in più potesse cambiare la sua storia e quella del mondiale. Michael si è intelligentemente fermato un passo prima: gliene diamo atto.