Dieci anni fa, la strage nella stazione di Viareggio. «Come una bomba al napalm»
Sessanta operazioni in anestesia generale per ricostruire la pelle, sempre cappellino od ombrello per uscire se è giorno. «Sono un miracolo vivente». Sei mesi in ospedale, uno e mezzo in coma farmacologico, alla fisioterapista il primario dirà «vagli a fare la terapia, tieni però conto che ha il due per cento di possibilità di sopravvivere».
Dolore feroce dentro e fuori. Ma il sorriso, le battute, la vita da mordere comunque e Leonardo, che aveva otto anni e «sta diventando uomo». Marco è viareggino, era a casa con sua moglie e i tre figli. Un quarto d’ora prima di mezzanotte, il 29 giugno 2009, la città della Versilia si ritrovò all’inferno. Un treno carico di Gpl correva a 90 all’ora, deragliò nella stazione, il gas uscì e poi esplose, incenerì quanto fosse a due o trecento metri, case, alberi, macchine, persone, che bruciò trentadue persone e ne ferì diciassette. Fra i morti, due dei tre figli e la moglie di Marco. Li aveva portati fuori da casa per la puzza improvvisa, fortissima di gas e, mentre rientrava per prendere Leonardo, venne investito «da un muro di fuoco alto come la palazzina, che mi fece volare». Si risvegliò non sa quanto tempo dopo.
«Quella notte tirarono una bomba al napalm sulla città di Viareggio», dice Marco. Due palazzine crollarono, altre tre vennero smembrate dal fuoco e dallo spostamento d’aria. Si sciolsero – letteralmente – tapparelle, infissi, auto parcheggiate, cartelloni pubblicitari, tutto, dalla parte opposta della stazione rispetto all’ingresso principale.
«È una vicenda che dovremo studiare con estrema attenzione», disse Guido Bertolaso, che era a capo della Protezione civile. Lo hanno fatto gli uffici giudiziari. «Sarebbe stato possibile evitare» la strage – scrissero i giudici del Tribunale di Lucca nelle motivazioni alla sentenza di primo grado – «attraverso il rispetto di consolidate regole tecniche create proprio al fine di garantire la sicurezza del trasporto ferroviario e, soprattutto, prestando massima attenzione ai diversi segnali di allarme che si erano manifestati già prima del fatto e che preludevano al disastro».
Il 31 gennaio 2017 furono condannati a pene fra 5 e 9 anni ventitré imputati (oltre a cinque società per responsabilità amministrative) e altri dieci assolti. Dopodomani sera si aspetta la sentenza al processo d’appello.
«Avevano mezzi, risorse economiche, capacità tecniche – spiega amaro Marco –. Potevano evitare la strage, non l’hanno fatto».