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Barriere nel mondo. Dal muro di Berlino agli 8mila km di filo spinato e cemento di oggi

Alessandro Saccomandi e Ilaria Solaini venerdì 8 novembre 2019

Il 9 novembre 1989, quando il muro di Berlino venne giù, in molti sognavano un mondo senza più divisioni. Illusioni. I «muri» "vivono e crescono" tutt'attorno a noi. Come strategia difensiva sempre più diffusa da pericoli veri o presunti, o come affermazione nazionalista e ideologica. In una società che anziché costruire ponti - come richiama a fare papa Francesco - separa, blinda, chiude.

Il muro di Berlino fu costruito nel 1961 per fermare l’esodo della popolazione dalla Repubblica Democratica Tedesca (Ddr, o Germania Est), comunista, verso la Repubblica Federale di Germania (Germania Ovest), più ricca e democratica. Tra il 1949 e il 1961 erano fuggiti dall’Est più di 2,6 milioni di tedeschi, su una popolazione totale di 17 milioni. Molti erano professionisti qualificati, la cui assenza si faceva sempre più sentire nella Ddr.

Con il paese sull’orlo del collasso economico e sociale, il governo della Germania Est prese quindi la decisione di chiudere tutto il confine, costruendo il muro in una notte, il 13 agosto 1961. Il nome ufficiale era “barriera di protezione antifascista”, che doveva difendere i tedeschi orientali dall’occidente. Si dovette aspettare fino al 1989 per abbatterlo.

I muri di oggi, secondo l'analisi della geografa Elisabetta Valley, sono 77 nel mondo: ottomila chilometri di cemento armato, reti, filo spinato, sensori elettronici tirati su ai quattro angoli del globo e utilizzati per tener lontani «nemici», «terroristi», «clandestini», «contrabbandieri» e «delinquenti». Ottomila chilometri di barriere progettate nel nome della sicurezza di chi «sta dentro», ma destinati a moltiplicare la voglia d'entrare di chi «resta fuori».

Tra il 1945 e il 1991 erano 19 e diminuirono a 12 subito dopo la fine della Guerra fredda. Questa tendenza però si è invertita negli ultimi 20 anni, con un numero totale di muri che si è triplicato.