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L'analisi. Zelensky, Putin e il “senso” della contro-invasione

Fabio Carminati lunedì 12 agosto 2024

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky al fronte in Donbass

Isolandolo dal contesto del conflitto, l’attacco di Kursk potrebbe apparire come una follia bellica: un manipolo di incursori che sfida l’Armata rossa, in un’incursione che non ha precedenti dopo la fine devastante dell’operazione Barbarossa di Hitler. Se invece si inserisce in un contesto più ampio, che tenga conto degli ormai più di 900 giorni di guerra, di “stanchezza” occidentale e delle forze ucraine e a poche settimane dalla prima apertura da parte di Putin a colloqui diretti (magari nella seconda tornata dopo il primo vertice di Lucerna), allora sì che tutto potrebbe trovare un senso. O meglio: dare un senso a un conflitto che è sempre più un nonsenso. Volodymyr Zelensky non nasconde più di fatto di aver voluto “portare la guerra in Russia” e chiede di togliere la sicura alle armi ricevute dagli alleati per colpire pesantemente in Russia.

Il “senso” finale sarebbe avere in tasca qualcosa (o se ricacciato a casa minacciare di ripeterla) da srotolare sul tavolo delle trattative di pace: la mappa di una piccola fetta di Russia vulnerabile e dall’alto significato storico: a Kursk, la narrazione sovietica, vedeva sempre l’inizio della fine di Hitler e l’inizio della corsa verso Berlino per arrivare prima degli americani. Una “conquista” da barattare con uno dei tanti pezzetti di mappa del Donbass che i generali russi hanno colorato di rosso, colore della conquista.

L’altro fronte della trattiva per il presidente ucraino è però anche quello interno: portare a casa quel risultato che metterebbe a tacere le voci interne che ormai non hanno più timori a manifestarsi e assumono un tono sempre più alto e ostile nei confronti del comandante in capo dopo oltre due anni e mezzo di controffensive più dichiarate che concretizzatesi. Insomma, una contropartita da offrire (anche nelle cancellerie occidentali) a chi dice che Kiev non darà mai soluzioni diverse dal dover continuare a foraggiare il governo di armi e fondi. Tra le mura del Cremlino, dove i conti fatti danno un rosso economico ben più intenso della bandiera che sventola sul pennone più alto, la svolta e la conseguente discesa a compromessi da parte degli ucraini potrebbe invece essere “venduta” come una vittoria. Il tutto senza dimenticare che ogni guerra di vincitori “totali” mai ne può avere, se non solo nella loro narrazione.