Il conflitto a Gaza esce dai suoi confini e arriva a coinvolgere anche il mondo della moda. Protagonisti della vicenda sono due brand molto noti, Zara e Puma. Per il brand di fast fashion spagnolo, il caso è scoppiato a causa della campagna pubblicitaria "Tha Jacket", ora ritirata.
Gli utenti hanno accusato il marchio di "prendere in giro i palestinesi'' vittime dei raid israeliani sulla Striscia di Gaza perché le modelle delle fotografie sono rappresentate tra macerie e manichini senza arti avvolti in sacchi bianchi.
Gli attivisti palestinesi hanno chiesto il boicottaggio della catena di moda, definendo "morbosa" e "di un simbolismo inaccettabile'' la scena rappresentata. L'hashtag #BoycottZara è salito presto in cima nelle tendenze di X, mentre l'account Instagram del brand è stato invaso da migliaia di messaggi di protesta contro la campagna.A poche ore dal lancio,
l'azienda ha rimosso le fotografie dal proprio sito web e tramite i suoi canali social ha diffuso una nota in cui ha affermato che la campagna
è stata scattata prima dell'attacco sferrato da Hamas contro Israele. "La campagna, ideata a luglio e fotografata a settembre, presenta una serie di immagini di sculture non finite nello studio di uno scultore ed è stata creata con l'obiettivo di presentare capi di abbigliamento realizzati a mano in un contesto artistico - si legge in un post sulla pagina Instagram del marchio -. Purtroppo alcuni clienti si sono sentiti offesi da queste immagini e vedevano in loro qualcosa di molto lontano da ciò che si intendeva. Il Gruppo Zara si rammarica di questa incomprensione e ribadisce il suo profondo rispetto per tutti".Sul versante opposto si colloca invece la decisione di
Puma, brand tedesco di abbigliamento sportivo, che ha reso noto che
non rinnoverà l'accordo di sponsor tecnico per il 2024 con la nazionale di calcio israeliana. L'azienda ha fatto sapere che questa
decisione era già stata presa un anno fa, ben prima degli attacchi del 7 ottobre scorso: non ci sarebbe quindi alcuna connessione con le campagne di boicottaggio che hanno coinvolto altre aziende accusate di supportare Israel. Le ragioni della fine del contratto sarebbero da ricercare in logiche finanziarie, parte della nuova strategia di mercato di Puma denominata "fewer-bigger-better strategy". Tuttavia,
negli anni si erano moltiplicati gli appelli al boicottaggio da parte di attivisti filopalestinesi che rimproveravano l'azienda tedesca di "fare affari negli insediamenti israeliani illegali, contrariamente a quanto stabilito dal diritto internazionale, e la totale noncuranza verso le famiglie palestinesi obbligate a lasciare le case con i loro bambini, a causa dell'occupazione israeliana". Le accuse si erano fatte ancora più pressanti dopo l'avvio dell'offensiva e dei bombardamenti israeliani a Gaza in risposta all'attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. Per il momento, Puma non ha rilasciato alcuna dichiarazione sul mancato rinnovo con l'Israel Football Association.