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Il voto. Alla fine in Iran vince l'astensionismo. Al ballottaggio decide l'opposizione

Camille Eid sabato 29 giugno 2024

Alcune donne al voto, ieri, in un seggio di Teheran

L'Iran andrà al ballottaggio per scegliere il successore del presidente Ebrahim Raisi, morto il 19 maggio in seguito allo schianto dell'elicottero su cui viaggiava. È apparso chiaro sin dalle prime ore dello spoglio che nessun candidato avrebbe raccolto la maggioranza assoluta necessaria per essere eletto al primo turno delle presidenziali che si sono svolte ieri.

Al secondo appuntamento di venerdì prossimo si affronteranno il candidato riformista Massud Pezeshkian, il politico di etnia azera sostenitore della distensione con gli Usa, e l'ultraconservatore Saeed Jalili, ex capo dei negoziatori iraniani sul dossier nucleare

.

Pezeshkian ha ottenuto il 42,10 per cento dei voti mentre Jalili ne ha ottenuto il 38,30 per cento. Mai così bassa l'affluenza alle urne: appena il 40 per cento

, secondo i dati ufficiali resi noti dalla Commissione elettorale. La prima sorpresa della consultazione è stata l'uscita di scena del presidente del Parlamento, il conservatore Mohammad Bagher Ghalibaf, dato nei sondaggi come il favorito tra i quattro candidati rimasti in lizza. Quest’ultimo ha ottenuto solo il 13,68 per cento dei voti, mentre il quarto candidato, il religioso sciita Mostafa Pourmohammadi si è fermato allo 0.83 per cento.

Lo scrutinio ha anche segnato un record negativo, appena il 40 per cento di affluenza, ossia quasi 9 punti in meno rispetto alle precedenti presidenziali del 2021, e la più bassa partecipazione dalla fondazione della Repubblica islamica nel 1979

. È caduto così nel vuoto l'appello lanciato alla vigilia del voto dalla Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, in cui ha invitato gli iraniani «a prendere sul serio il voto e a parteciparvi». Alla consultazione ha pesato certamente la dispersione del campo conservatore tra due candidati maggiori, impedendo in tal modo una vittoria dell'establishment iraniano dal primo turno. Anche il campo riformista è stato penalizzato dall'astensione cui hanno fatto appello diversi oppositori, soprattutto dalla diaspora, oltre a noti attivisti dei diritti umani attualmente in carcere. Tra questi ultimi spicca

Shirin Ebadi, vincitrice del premio Nobel per la Pace nel 2003

, che ha definito le elezioni un «vecchio e ripetuto inganno del regime». L'establishment dispone ora di pochi giorni per serrare nuovamente i ranghi, come pure l'opposizione. Chi ha votato Ghalibaf voterà sicuramente Jalili al secondo turno. Per farcela, Pezeshkian, che è oggi in vantaggio di un milione di voti rispetto a Jalili, dovrà convincere gli astenuti a scendere in campo.

Un “affare” di circa due milioni e mezzo di voti

. Si tratta di una sfida non indifferente, dal momento che molti di loro sono scettici circa le reali possibilità di cambiamento dall'interno. Le precedenti esperienze presidenziali di Khatami e Rohani, dicono in questi ambienti, dimostrano che qualsiasi presidente ha, in fin dei conti, poteri molto limitati e che egli si trova ad applicare le politiche fissate dalla Guida suprema.


Nella giornata elettorale non sono mancati episodi di violenza. Due uomini sono morti e diversi sono rimasti feriti in un attacco contro un mezzo che trasportava sacchi di schede nella turbolenta provincia sudorientale del Sistan Baluchistan dove sono attivi gruppi indipendentisti.