Israele. Il dj che porta la musica ai soldati feriti. «Cerchiamo di trovare un senso»
I volontari con i soldati feriti al reparto riabilitazione dell'ospedale Tel Ha Shomer di Tel Aviv
Il dj Eyal Levi - Archivio
La sua fama all’interno dell’esercito diventa tale per cui viene contattato anche per fare quello che gli riesce meglio: scegliere la musica per alleviare lo stato d’animo dei soldati, tutti traumatizzati dall’esperienza della guerra. Ieri è stato contattato anche dall’Ospedale Tel Ha Shomer di Tel Aviv, dal reparto di riabilitazione dedicato ai militari feriti e post-traumatici. Entrati in ospedale, veniamo accolti tra tre infermiere: una musulmana, un’ebrea laica e una ultraortodossa, che ci portano sulla terrazza dove uno studio di architetti ha deciso di rinunciare a un giorno di lavoro per cucinare per i soldati. Ogni giorno una società diversa, invece di andare in ufficio, dedica una giornata per occuparsi del benessere dei militari ricoverati nel centro di riabilitazione. Nella lobby che separa il terrazzo dalle loro camere, un gruppo di parrucchieri si sono offerti volontari per dare una “rinfrescata” a capo e volto, spesso gravemente ferito, come i corpi martoriati dei soldati in cura. Tra di loro ci sono ebrei, cristiani, ultraortodossi: «Tutte le facce di Israele – racconta Levi. – Incredibile come fossimo tutti divisi prima di quel Sabato Nero, mentre ora ci troviamo tutti assieme, uniti da una cosa terribile come la guerra. La verità è che siamo tutti traumatizzati e fare volontariato è diventato l’unico modo per dare un senso alle nostre vite spezzate. Ogni volta che qualcuno mi porta dei pacchi da portare alle basi, comincia anche a raccontarmi la propria storia: del cugino rapito a Gaza, al collega riservista da cinque mesi. Madri che è dal 7 ottobre che crescono i propri figli da sole, mentre i mariti tornano a casa una volta ogni due settimane solo per farsi una doccia, passare una notte su un letto vero, e poi tornare al fronte. Siamo un’intera società traumatizzata, perché questo conflitto è ancora in corso e, soprattutto, non si vede la fine».