Il dramma dei viaggi dall'America centrale. «Violentata una donna migrante su tre»
I letti sono rigorosamente rifatti. Sotto, in un’ordinata fila, si trova qualche boccetta di smalto, un fermaglio, un tubo di crema. A Ixtepec, in Oaxaca, nel Sud del Messico, il dormitoio femminile è sempre ordinato, nonostante l’intenso via vai. Un ospite su quattro – dei quasi duemila che ogni mese bussano alle porte dell’Albergue Hermanos en el Camino – è donna. Una novità. Fino a solo tre anni fa, la gran parte del mezzo milione di migranti in fuga dal Centroamerica verso l’El Dorado Usa erano uomini.
Giovani adulti di età compresa tra i venti e i trent’anni. Ora no. O meglio, i maschi sono sempre la maggioranza. La presenza femminile, però, aumenta. Man mano che si intensifica la violenza nel Triangolo Nord, quel frammento di terra compreso tra due Oceani– a forma triangolare – in cui coesistono El Salvador, Honduras e Guatemala e che, negli ultimi tempi, è diventata la regione più letale al mondo. Colpa delle maras, le bande criminali che hanno conquistato interi pezzi di nazione. In cui impongono la loro legge feroce: estorsione, arruolamenti forzati, “fidanzamenti” obbligatori. Proprio da questi ultimi scappano, in misura crescente, ragazze e adolescenti. Ecco perché l’esodo verso il Nord si è femminilizzato: nel 2015, le donne erano il 24 per cento del mezzo milione di centroamericani che, ogni anno, attraversa il Messico nel viaggio verso gli Usa. Il dieci per cento in più rispetto al 2011. La maggior parte ha meno di trent’anni. Molto spesso si tratta di giovani mamme con i figli: fuggendo cercano anche di salvare questi ultimi dall'arruolamento coatto da parte delle gang.
Tra il Centroamerica e il sogno americano, c’è, però, “l’incubo Messico”. L’inferno per gli “indocumentados” (irregolari) centroamericani comincia molto più a sud – tra i due e 4mila chilometri, in base alla rotta scelta – del muro di Trump. Questi si trovano ad attraversare, senza documenti e, dunque, invisibili, un Paese dilaniato dal conflitto tra gruppi criminali, alleati con pezzi di istituzioni corrotte. Diventano, dunque, il bersaglio più fragile. Nove su dieci – denuncia in una delle poche rilevazioni sul campo appena pubblicata da Medici senza frontiere (Msf) – subiscono violenza dai narcos, ma anche dagli agenti che dovrebbero tutelarli. E, invece, molto spesso, li consegnano alle mafie che li sequestrano per incassare il riscatto o li rivendono sui mercati del sesso, degli organi, del lavoro schiavo.
Le “indocumentadas”, poi, rivela Msf sono, inoltre, costrette a subire stupri sistematici. Almeno un terzo delle migranti visitate dall’Ong ha raccontato di essere stata abusata sessualmente. Non una ma più volte. In alcuni casi, sono i compagni di viaggio ad approfittarne, in altri le violenze sono commesse dai narcos o dalle autorità. «Tanto, mi dicevano, non esisti. Non puoi denunciare, nessuno ti ascolterà», racconta Yolanda. Molte, dunque, scelgono il “codice del silenzio”. La stima di Msf è, dunque, al ribasso. Altre fonti parlano di sei-otto migranti stuprate su dieci. Man mano che la quota di donne aumenta, il fenomeno si fa sempre più evidente. Il rischio è così alto che nelle farmacie centroamericane è in continuo aumento la richiesta di Depo-Provene: un anticoncezionale estremamente potente, della durata di 90 giorni, composto da un solo ormone, il medroxiprogesterone. L’inieziezione anti-Messico la chiamano. Lo stesso farmaco impiegato dalle africane che devono attraversare il Sahara e, poi, la Libia senza legge. «L’ho fatta perché conoscevo il pericolo. Ma che altro potevo fare? Dovevo scappare da San Salvador – conclude Yolanda –, le maras mi avrebbero violentato comunque. Almeno in Messico c’era una possibilità che non accadesse. È una roulette russa. Ho giocato. E ho perso».