Il reportage. Via da Odessa per un’altra volta . «Prima le bombe, ora il freddo»
Le corse di bus da Odessa a Chisinau sono state raddoppiate. La fuga verso la Moldavia è una strada che migliaia di ucraini conoscono. Nessuno di loro avrebbe immaginato di doverla percorrere una seconda volta, da profugo. Che poi in questa guerra si declina quasi solo al femminile, a meno che non si sia minorenni. «Stavolta è ancora più difficile spiegargli di doversi allontanare dal papà», dice una giovane madre che era tornata nella città in riva al Mar Nero proprio dopo l’estate, quando le acque si erano calmate e la guerra sembrava soprattutto affare di Mykolaiv, di Kherson, dei villaggi sperduti in mezzo alla campagna. Invece Aniuta, che da noi si direbbe Annina, deve di nuovo mettersi in braccio alla mamma e lasciarsi alle spalle Igor, il padre trentenne che non sa che favola inventarsi per far smettere di piangere Aniuta. Quando lascia il terminal di Pryvoz, di fianco al gran bazar e a una di quelle stazioni che sarebbero piaciute ad Agatha Christie, dal finestrino vediamo Igor tornare alla solitudine mentre con un calcio scaraventa un sasso dall’altra parte del marciapiede. E si capisce che quel sasso allontanato in malo modo è la disgrazia di una guerra che nessuno qui voleva davvero cominciare e adesso non si sa quando finirà.
Ci vogliono sei ore per percorrere meno di 200 chilometri le code alla frontiera sono chilometriche. Soprattutto tir merci incolonnati su entrambe le direzioni. E poi di nuovo centinaia di aiuto guidate da donne che si trascinano dietro coperte pesanti e l’occorrente per superare l’inverno da qualche parte di nuovo lontano dall’Ucraina. Era stato il presidente Zelensky nei giorni scorsi a suggerire di rifare i bagagli e andarsene per un po’ dove elettricità e riscaldamento non sono un lusso. Tutti sapevano, del resto, che le riparazioni alle infrastrutture danneggiate sarebbero durate poco. Perché Mosca sarebbe tornata a devastare le pompe idriche, le condutture del gas e le centrali elettriche.
Kiev è tornata al buio, di tornare alla normalità di una capitale in guerra non se ne parla. Anche per questo la gente di Odessa preferisce tornare verso la Moldavia e da lì raggiungere la Romania anziché spostarsi verso la capitale.
Mentre l’autista moldavo impreca per le code, il traffico, il fango, la nebbia e il fatto che l’azienda gli dia solo bus tedeschi di quarta mano e milioni di chilometri, a bordo del “gran turismo” che una volta trasportava frontalieri e viaggiatori, ci si tiene aggiornati sulle cronache di guerra. «Stanno attaccando Kherson», dice una donna parlando inglese nella nostra direzione. E fa cenno con la mano come dire che bisogna prendere appunti. I maschi adulti sulla corriera delle mamme in fuga suscitano sempre curiosità: «Giornalisti stranieri che se vanno o politici che non torneranno più», esclama una studentessa universitaria. E spiega: «Certi politici maschi trovano sempre un modo e una scusa per farsi dare un permesso e lasciare il Paese. Promettono di tornare ma alcuni non li abbiamo visti più».
Certo non deve essere facile tenere fede al giuramento alla bandiera quando in casa ti arrivano i fanti di Mosca. Ieri le autorità ucraine hanno arrestato il vice capo del consiglio comunale di Kherson, appena liberata, con il sospetto di favoreggiamento delle forze di occupazione russe che avevano preso il controllo della città a marzo. Il funzionario rischia fino a 12 anni di carcere. Al momento è stato rilasciato dietro pagamento di una cauzione imprecisata. La legislazione ucraina non riconosce molte attenuanti ai collaborazionisti, tuttavia il funzionario indagato è accusato di un reato differente: «Assistenza ad uno Stato aggressore».
Pur non avendo sposato la causa del Cremlino non avrebbe ostacolato le autorità occupanti, una condizione che riguarda centinaia di funzionari pubblici costretti a mantenere attivi i servizi sotto la minaccia di ritorsioni per sé e per la propria famiglia.Ieri l’artiglieria russa posizionata al di là del fiume, lungo l’argine che si affaccia sulla città ha del Sud, ha aperto il fuoco a vasto raggio. Diversi proiettili sono caduti nel perimetro dell’ospedale regionale di Kherson, senza fare vittime. Cinque giorni fa il centro sanitario era stato colpito dai missili russi, così come altre strutture sanitarie, e i pazienti del reparto pediatrico e psichiatrico erano stati trasferiti a Mykolaiv e Odessa, dove però i frequenti blackout e il sovraffollamento nelle corsie rischiano di far collassare il già compromesso sistema di emergenza sanitaria.
La riconquista della città meridionale di Kherson ha spinto l’Ucraina a mantenere l’iniziativa sul campo di battaglia anche se il deterioramento delle condizioni rende più difficile la ricacciata degli occupanti. Il clima invernale favorirà probabilmente le forze armate ucraine, ha scritto su Twitter Jack Watling, analista del Royal United Services Institute di Londra. I russi appena mobilitati, invece, non hanno l’esperienza o le capacità per operare per lunghi periodi.
Se il ritiro russo da Kherson ha posto fine a più di otto mesi di occupazione nella città che prima della guerra ospitava quasi 300.000 persone e adesso ne conta meno di un terzo, per altro verso migliaia di residenti sono fuggiti, l’elettricità e i servizi di base non sono disponibili e le forze di sicurezza sono a caccia di possibili collaborazionisti. Una donna con anziana madre al seguito e due ragazzini in età da scuole medie e vestiti con tuta mimetica racconta proprio della loro vita a Kherson. Che non sarà mai più la stessa. «I russi perderanno la guerra, ma se volevano rovinarci la vita ci sono riusciti» .