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Brexit. La pesca divide Ue e Londra. E Parigi minaccia il veto sull'accordo

Luca Geronico venerdì 4 dicembre 2020

Autocarri in coda sull'autostrada vicino al porto di Calais

La Francia si opporrà con il suo "veto" a un accordo sulla Brexit "non buono", ha fatto in mattinata sapere il governo a Parigi. "Se l'accordo non va bene, useremo il diritto di veto", ha dichiarato Clement Beaune, il segretario di Stato per gli Affari europei. Occorre "garantire" l'unità dei 27 Paesi membri dell'Ue "fino all'ultimo secondo", ha replicato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. "Per avere un accordo bisogna essere in due. Vogliamo un accordo" con il Regno Unito sulla relazione futura, "ma non ad ogni costo". I negoziati sono in corso e, ha concluso Charles Michel, "non so che cosa avremo sul tavolo" alla fine.

Sono "ore cruciali", avevano riferito fonti Ue, ma mentre a Londra si tratta ad oltranza di fatto rischia di allontanarsi la prospettiva di un accordo di libero scambio in extremis tra Regno Unito e Ue. Secondo indiscrezioni, riferite dalla Bbc, cresce l'allarme nel team negoziale britannico capitanato da David Frost: "Le prospettive di una svolta si sono diradate", hanno riferito ieri i britannici che hanno accusato il team di Bruxelles, guidato da Michel Barnier, di aver portato sul tavolo "elementi aggiuntivi dell'undicesima ora". Agli occhi del governo di Boris Johnson un vero intoppo: "Un accordo è ancora possibile in pochi giorni" ma, hanno insistito, sui diritti di pesca nelle acque britanniche e sui meccanismi di garanzia di una concorrenza commerciale leale futura (il cosiddetto level playing field) occorre uno spirito di compromesso da parte europea e non nuovi irrigidimenti.

Gli europei avevano promesso un rapido accordo sulla pesca, per placare i loro pescatori, che temono di non avere più lo stesso​accesso alle acque britanniche, ricche di pesce. Ma l'inflessibilità su entrambe le sponde della Manica non ha permesso di conciliare le posizioni di partenza agli antipodi: il versante europeo chiedeva lo status quo nell'accesso all'acque mentre Londra ambiva al controllo totale con quote negoziate ogni anno. L'attività rappresenta solo una parte trascurabile dell'economia dei 27 e del Regno Unito, dal momento che gli europei pescano ogni anno per 635 milioni di euro nelle acque britanniche e gli inglesi per 110 milioni di euro nell'Ue. L'argomento è comunque molto sensibile per un pugno di Stati membri (Francia, Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca e Irlanda) mentre i britannici cercano di trarne il massimo vantaggio possibile nei negoziati.

Londra ha lasciato l'Ue il 31 gennaio, ma per tutto l'anno è restata soggetta alla normativa europea. Senza un accordo, le due parti commerceranno in base alle regole dell'Wto, il che vuol dire diritti di dogane e dazi. L'imminenza della fine del periodo di transizione, il 31 dicembre, fa lievitare i mezzi pesanti, camion e autoarticolati, in transito fra il continente e il Regno Unito: è il frutto delle richieste record di prodotti da parte dei cittadini britannici. Sono code e ingorghi la cui gestione è "catastrofica", ha denunciato la Federazione Nazionale del trasporto su strada del Pas de Calais.

"Il piano di gestione del traffico non è all'altezza della posta in gioco, e la Brexit non è ancora operativa: figuriamoci dopo", ha constatato il segretario dei camionisti, Sèbastien Rivèra. Lunghe file di camion occupano il percorso dalle parti di Calais, soprattutto il mercoledì e il giovedì, preferiti dagli autisti che contano di rientrare nel continente entro il fine settimana. Secondo Rivera, i britannici stanno facendo scorte di prodotti in vista della Brexit, operativa dal primo gennaio. "Mai visti volumi simili di merci trasportate", riferiscono operatori che lavorano su questa tratta da trent'anni. Secondo i dati della prefettura, ad attraversare la Manica in questo periodo sono circa 9 mila camion al giorno, contro i 6 mila in media dei periodi normali. Un altro problema lamentato dai camionisti è quello delle intrusioni di migranti, che cercano di salire sui camion per passare la frontiera.