«Dovranno rassegnarsi. Non hanno scampo. Li polverizzeremo!» Con queste parole bellicose, il leader venezuelano Hugo Chavez ha chiuso la compagna elettorale. Il suo è un vero e proprio “grido di battaglia” contro «los escualidos»(gli squallidi). Così il presidente-comandante definisce l’opposizione riunita nella Mesa de Unidad Democratica (Mud), sigla che racchiude partiti di ogni colore politico, di destra come di sinistra. Con un unico – fondamentale – punto in comune: l’anti-chavismo. Non a caso, lo slogan scelto è: «Per sconfiggerlo». Non c’è nemmeno necessità di specificare chi. L’ombra di Chavez pesa come un macigno sulla competizione di domani. Anche se formalmente si tratta di un voto legislativo e il capo di Stato, dunque, non è candidato. Il “caudillo” ha occupato letteralmente la tv, con 63 ore di discorsi in appena due settimane. Niente, in confronto all’invasione della Rete dove, attraverso il social network Twitter, incita i sostenitori ad andare in massa alle urne. Non solo: la sfida lanciata dal leader è che ogni fedelissimo deve portare al seggio almeno dieci “compagni”. Caracas è in fermento. Tanto, troppo per una consultazione parlamentare. La posta in gioco, però, stavolta è alta. Quasi 18 milioni di venezuelani dovranno eleggere i 165 deputati dell’Assemblea nazionale, la Camera unica del Paese. Ma soprattutto dovranno decidere se e in quale misura l’opposizione potrà tornare a “pesare” sul processo decisionale. Cinque anni fa, il fronte antichavista scelse di boicottare con l’astensione le votazioni. I tra quarti dei cittadini disertò i seggi ma il presidente non fece una piega. Anzi, finora ha goduto del vantaggio di governare con un Parlamento “amico”, che si è limitato ad avvallare i suoi progetti. Ora, questo potrebbe cambiare. Per approvare una legge organica – che tocchi, cioè, ambiti sensibili come i poteri delle istituzioni o la struttura economica – ci vuole una maggioranza dei due terzi. Ovvero 110 rappresentanti fidati. Non si tratta pertanto di perdere o vincere. Ma di quanto. L’opposizione spera di “sfondare” almeno la soglia dei 56. Tanti sono i rappresentanti che le occorrono per bloccare i progetti dell’esecutivo. Non mancano, nel Mud, i più ambiziosi che si propongono una «derrota exitosa» (sconfitta di successo), cioè conquistare 67 seggi. Il che impedirebbe a Chavez di ricevere dalla Camera il mandato per legiferare su alcuni settori. La Costituzione prevede, infatti, i tre quinti delle preferenze per approvare la cosiddetta “Ley habilitante”. Non è facile prevedere l’esito del voto. La vittoria numerica dello schieramento chavista – guidato dal Partido Socialista Unidos de Venezuela (Psuv) – non è in discussione. Il punto è se supererà il 51 per cento dei suffragi necessari per avere il premio di maggioranza. Le previsioni della vigilia sono le più svariate. Gli ultimi sondaggi – fatti una settimana fa per non influenzare gli elettori – danno un 53 per cento al fronte presidenziale contro il 45-47 dell’opposizione. Chavez – da dodici anni al potere – dice di essere convinto di un nuovo trionfo. Non è, però, semplice: la crisi economica e la crescente insicurezza – cavalli della battaglia elettorale degli avversari – hanno fatto calare la sua popolarità negli ultimi tempi, a una quota pericolosamente vicina al 50 per cento. Per il Mud, al contrario, dopo l’assenza nei luoghi decisionali per cinque anni, qualunque risultato che possa dargli visibilità sarebbe un successo. La parola, ora, passa agli elettori. A vigilare sulla trasparenza del voto sarà il Consejo Nacional Electoral (Cne), di cui fanno parte esponenti dei due fronti. In aggiunta, Chavez ha schierato i suoi “guardiani” che saranno presenti in ogni seggio. Lo stesso hanno fatto i rivali. Il cardinale Urosa, arcivescovo di Caracas – che negli ultimi mesi è stato bersaglio di accese critiche dal governo – ha invitato i contendenti «a rispettare l’esito del voto». Nessuno può dire, però, che cosa farà Chavez in caso questo non gli piaccia.