Usa. Voto di midterm: l'affluenza è record
Sostenitori democratici in Nevada (Ansa)
Sono circa 7 milioni gli elettori che hanno già votato negli Stati Uniti con il sistema del voto anticipato per le elezioni di metà mandato, in programma per il 6 novembre. A riferirlo è il New York Times (Nyt), che cita i dati elaborati da Michael McDonald, professore di Scienze politiche all'università della Florida. Secondo il Nyt si tratta di un dato ben più alto rispetto agli anni precedenti. "Se questi modelli persistono, potremmo vedere un'affluenza almeno pari a quella del 1966, che fu del 48 per cento, e se si dovesse battere quella bisognerebbe tornare indietro al 1914, quando l'affluenza fu del 51 per cento", riferisce il professore. "Potremmo avere un'affluenza che nessuno ha mai visto", ha aggiunto.
Con le loro preferenze gli elettori devono rinnovare il Congresso e decidere se la strada di Donald Trump verso le presidenziali del 2020 sarà in discesa verso la rielezione, oppure irta di ostacoli come solo un biennio da “anatra zoppa” (ovvero con l’opposizione in maggioranza alle Camere) può esserlo per un presidente americano. Ma proprio per il loro impatto sull'agenda della Casa Bianca, le elezioni di midterm sono attese con grande interesse ovunque nel mondo, per capire se la dottrina dell'”America First” troverà piena attuazione nei prossimi due anni oppure se il progetto anti-globalista e protezionista subirà una frenata.
Lo scenario resta incerto, con i democratici che sperano di riconquistare almeno la Camera dei Rappresentanti, rinnovata in tutti i suoi 435 seggi, dopo aver accarezzato l’idea di poter ribaltare anche il Senato, ipotesi al momento in bilico. A due settimane dal voto i sondaggi danno ancora in vantaggio i democratici, ma solo per pochi punti. I giochi dunque restano aperti. Due i punti di forza che potrebbero rivelarsi fondamentali per lo sgambetto dei democratici a Trump: oltre all'affluenza record, il voto delle donne nell'era del #metoo, con il primato assoluto di candidate al Congresso, ben 257 su entrambe i fronti.
Tra i repubblicani invece si punta soprattutto sull'effetto Trump, la cui popolarità continua a volare, forte soprattutto di un'economia americana che continua a correre. Senza parlare di come il presidente, che sta battendo a tappeto il Paese, si senta a suo agio nel fare della questione immigrazione il punto di forza del rush finale verso il voto. Tra l'altro con una carta ancora da poter giocare: quella di un ulteriore taglio delle tasse per la classe media.
Ma più di uno spettro aleggia sulla Casa Bianca. Il primo è la marcia della carovana dei 7mila migranti verso gli Usa, che rischia di trasformarsi in una vera e propria crisi nazionale e umanitaria proprio alla vigilia delle elezioni. C'è poi la preoccupazione più grande per Trump: negli Usa la chiamano “October surprise”, la temutissima “sorpresa” che tradizionalmente anticipa ogni elezione e che in questo caso potrebbe arrivare all'improvviso dal Russiagate. E se il Congresso dovesse tornare, almeno in parte, in mano ai democratici, è chiaro che la campagna per un impeachment o per una destituzione del presidente assumerebbe vigore.
Nel dettaglio ai democratici servirebbero 23 seggi per vincere alla Camera, a partire da quelli oggi occupati da repubblicani ma espressi nei distretti in cui nel 2016 vinse Hillary Clinton. In tutto sono 75 le sfide più incerte per un posto alla Camera bassa, e riguardano 30 Stati Usa: dal nordest (vedi New York) al Midwest (vedi l'Iowa), dalla Florida alla traballante roccaforte repubblicana del Texas. Al Senato, dove ai repubblicani basta confermare i 51 seggi di oggi, i confronti più avvincenti sono in Nevada, Arizona, Missouri. Ma soprattutto c'è la supersfida in Texas tra Ted Cruz e il giovane astro nascente dei democratici Beto O’Rourke, che in molti vedono candidato alla Casa Bianca contro Trump nel 2020.