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Usa, un passo avanti per la libertà religiosa

LORETTA BRICCHI LEE venerdì 20 maggio 2016
NEWYORK Pur non mettendo la parola fine a una battaglia legale altamente controversa – quella relativa all’obiezione di coscienza degli istituti religiosi nei confronti della riforma sanitaria Obamacare – una decisione presa lunedì dalla Corte suprema Usa è vista da molti analisti come un punto a favore della libertà religiosa negli Usa. Il massimo organo giudiziario ha infatti deciso di non esprimersi sulla costituzionalità della legge voluta dal presidente Obama nel 2010 e, in particolare, sulla potenziale violazione dei diritti di coscienza subita da enti di ispirazione religiosa, costretti dalla riforma a offrire l’assicurazione sanitaria ai propri dipendenti anche per medicinali contraccettivi e abortivi. Gli otto giudici (la nomina del nono, Merrick Garland, è bloccata al Senato) hanno rimandato ai tribunali d’appello ordinari i sette casi presi congiuntamente in considerazione, chiedendo a governo e querelanti di trovare un compromesso accettabile. La Corte non si è insomma schierata né con l’Ammini- strazione Obama né con i gruppi religiosi – le suore dell’ordine delle Piccole sorelle dei poveri, varie università d’ispirazione cristiana e le arcidiocesi di NewYork e Pittsburgh – che da anni lottano per la libertà religiosa. Ci si aspettava però una decisione favorevole all’Amministrazione – Obama in testa – cosicché la scelta dei giudici è apparsa un’apertura importante sul fronte della libertà religiosa. La Corte ha chiesto dunque che venga trovata una soluzione che offra ai credenti un’esenzione reale dagli obblighi assicurativi di Obamacare, esito ben diverso dagli escamotage proposti via via dalla Casa Bianca. Un punto d’incontro sarebbe di certo una soluzione preferibile a un’imposizione giudiziaria dall’alto. Nella «non-sentenza » della Corte Suprema è visibile il reale e sostanziale valore della battaglia condotta con tenacia e successo dalle varie organizzazioni religiose. Bisogna considerare che il massimo organo giudiziale americano – ridotto a otto membri, quattro conservatori e quattro liberali, dalla morte, lo scorso febbraio, del giudice Antonin Scalia – è in stallo. Nel caso la Corte avesse deciso di esprimersi sulla violazione dell’Atto sulla libertà religiosa del 1993 da parte della riforma sanitaria di Obama, i giudici si sarebbero quasi certamente schierati quattro contro quattro. Questo avrebbe automaticamente validato le sentenze emesse dai tribunali inferiori, con il risultato di avere sentenze contrastanti. Datori di lavoro in uno Stato avrebbero dovuto seguire gli obblighi della riforma, altri in Stati diversi ne sarebbero stati esenti. Ora, invece, le corti d’appello dovranno esaminare le proposte offerte da entrambe le parti così da raggiungere un risultato accettabile per tutti. Come ha dichiarato l’arcivescovo di Washington, cardinale Donald Wuerl, «siamo sulla strada del riconoscimento della nostra libertà religiosa, ma l’impegno continua». © RIPRODUZIONE RISERVATA IL TRIBUNALE. La sede della Corte suprema Usa a Washington (Ansa/Ap)