Usa. Trump ci riprova: «Martedì mi arresteranno, protestate, riprendiamoci il Paese»
L'ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump
Donald Trump ci riprova. Di fronte a una possibile incriminazione da parte della procura di New York, l’ex presidente lancia un appello ai suoi sostenitori: «Protestate! Riprendetevi il nostro Paese!», ha scritto ieri sul suo social, Truth. Parole che echeggiano gli inviti che aveva lanciato da un podio nei pressi del Campidoglio americano il 6 gennaio 2021, poco prima che un gruppo di rivoltosi inneggianti al “Maga” prendessero d’assalto il Congresso. Nove morti sono state collegate all’attacco di quel giorno.
Ora il tycoon rilancia la chiamata alle armi, invitando i suoi fan a manifestare contro «l’ufficio di un procuratore di Manhattan corrotto e altamente politicizzato», che non sarebbe stato capace «di provare alcun crimine basandosi su una favola vecchia e pienamente smontata». I fatti sono leggermente diversi. L’inchiesta condotta da Alvin Bragg sul pagamento segreto (usando fondi elettorali) alla pornostar Stephanie Clifford, in arte Stormy Daniels, per convincerla a non rivelare la sua relazione con il futuro presidente, avrebbe raccolto abbastanza prove, e un grand jury sarebbe pronto a rinviare a giudizio Trump. L’atto formale dovrebbe avvenire la prossima settimana, e la procura sta lavorando da giorni con le autorità statali e cittadine di New York a un piano che prevenga e contenga possibili disordini.
La decisione di procedere è infatti “storica” e potenzialmente incendiaria. Pur essendo al centro di diverse indagini penali, per ora Trump non è mai stato incriminato. Sarebbe anche la prima volta che un ex presidente americano deve affrontare un processo penale. Il repubblicano inoltre è già ufficialmente candidato alla corsa alla Casa Bianca del prossimo anno. Il legale dell’ex presidente, Joe Tacopina, ha già fatto sapere che Trump, una volta incriminato, si consegnerà alle autorità senza complicazioni per essere schedato e rilasciato in attesa di giudizio. La versione anticipata ieri dal candidato del Gran Old Party, che martedì verrebbe «arrestato», è dunque imprecisa e tesa ad infuocare gli animi.
Nonostante i rischi e gli innegabili risvolti politici del caso, da settimane emergono elementi che hanno reso ineluttabile l’incriminazione da parte della giuria popolare, un organismo formato da cittadini con larghi poteri di inchiesta incaricato di decidere sul rinvio a giudizio. Persino l’ex avvocato personale di Trump, Michael Cohen, ha testimoniato contro di lui, sostenendo di aver dovuto fare personalmente il pagamento di 130mila dollari a Daniels.
Come già il 6 gennaio, anche questa volta molti consiglieri di Trump lo hanno invitato alla moderazione, evitando affermazioni avventate. Ma Trump non si è mai considerato responsabile dei disordini e anche pochi giorni fa ha ribadito la sua teoria che il vero colpevole è Mike Pence, il suo ex vicepresidente. «Se avesse rimandato i voti delle presidenziali alle legislature statali, non avrebbero avuto problemi», ha detto Trump durante una tappa della sua campagna.
Più di mille rivoltosi sono stati arrestati dal gennaio di due anni fa, centinaia accusati e molti condannati per cospirazione sediziosa. Altri rimangono ricercati. Trump è stato messo sotto impeachment per incitamento all’insurrezione, ma è stato assolto quando un numero sufficiente di senatori repubblicani gli è rimasto fedele. L'anno scorso, il comitato della Camera del 6 gennaio ha presentato quattro deferimenti penali di Trump al Dipartimento di giustizia, la cui indagine continua.