Midterm Usa. Camera ai democratici, Senato ai repubblicani. Trump: «Un grande giorno»
Nancy Pelosi, leader dei democratici alla Camera, annuncia i risultati ai sostenitori (Ansa)
La Camera ai democratici, il Senato che resta in mano repubblicana con un paio di seggi in più. I pronostici della vigilia sono stati rispettati, il voto di Midterm conferma il malumore nazionale nei confronti del presidente Trump senza tuttavia azzopparne completamente l’azione di governo: come nelle migliori tradizioni, uno dei due rami passa all’opposizione, il che costringerà la Casa Bianca a rimodellare la propria agenda politica sia in tema di sicurezza e di immigrazione sia sugli sgravi fiscali, venendo a patti – ma sicuramente anche scontrandosi – con i democratici in rimonta dopo otto anni. Sparpagliati su una miriade di collegi in una falange di candidati che rappresentavano l’anima multiculturale e multietnica dell’America (dai nativi come Sharice Davids – eletta in Kansas - agli afroamericani, dagli asiatici agli ispanici, ai neri, con una folta presenza di donne e di giovani), i dem hanno vinto ovunque senza mai stravincere.
Dal Midwest alla East Coast sono molte le conferme attese: passano la ventinovenne progressista Alexandria Ocasio-Cortez e per la terza volta il governatore Cuomo a New York, come la palestinese Rashida Tlaib nel Michigan e la profuga somala Ilanh Omar in Minnesota (prime donne musulmane nella storia americana che siederanno al Congresso), l’ex rivale di Hillary Clinton alle primarie del 2016 Bernie Sanders (il più radicale e socialisteggiante dei dem) nel Vermont e l’ex candidato alla vicepresidenza con la Clinton Tim Kaine in Virginia. Delusione invece per Beto O’Rourke, grande promessa dem additato addirittura come un possibile candidato alle presidenziali del 2020, sconfitto in Texas dal rivale repubblicano Ted Cruz. Sempre nel Texas i democratici si sono aggiudicati i seggi di due ispaniche, Sylvia Garcia e Veronica Escobar.
Conferme anche in casa repubblicana: l’ex sfidante di Obama, il mormone Mitt Romney, ha riguadagnato il proprio seggio nello Utah, Greg Abbott è stato rieletto governatore del Texas, Cruz ha spento le illusioni dem, il neogovernatore Ron DeSantis ha trionfato in Florida.
Al di là dei pronostici ampiamente rispettati, la consultazione di ieri è stata anche una sorta di referendum sul presidente. Quasi il 40 per cento degli americani ha espresso un voto contro di lui, solo il 26% si è pronunciato a favore. Il 56% degli americani ritiene comunque che il Paese stia andando nella direzione sbagliata. «È stata una buona notte», ha tuttavia commentato la Casa Bianca attraverso la sua portavoce. La temuta “onda blu” democratica non c’è stata, il tracollo repubblicano nemmeno. «Solo un’increspatura, non certo un’onda: l’agenda del presidente non cambia», dicono i fedeli del presidente. Ma non è del tutto vero. I tagli fiscali, per cominciare, che Trump voleva permanenti ma che scadranno nel 2025, saranno per forza rimodellati: ci saranno meno vantaggi alle imprese e meno deregulation e maggiore equità sociale (e minor rischio collaterale di ingigantire il debito americano e il costo del denaro); difficile se non impossibile per Trump proseguire anche nella contestata politica di riforma dell’immigrazione, ma ipotizzabile in questo caso uno scontro durissimo, visto che il presidente non è disposto a cedere sulla sicurezza e sulla protezione dei confini. Con qualche problema in più per Donald Trump: quello di dover negoziare con l’opposizione che prima non c’era.
La soddisfazione di Trump
Per le elezioni di metà mandato si tratta della vittoria del partito che sostiene il presidente più grande dai tempi di Kennedy nel 1962, è quanto sostiene Donald Trump parlando alla Casa Bianca "I repubblicani sono andati oltre ogni aspettativa. Non c'è stata
nessuna onda blu democratica - ha aggiunto il tycoon -. Ieri è stato un grande giorno, un giorno incredibile".