Europa. Ungheria e Polonia, mossa anti-Ue
Zoltan Kovács, portavoce del premier ungherese Viktor Orbán, in una foto d’archivio
«Torniamo in modalità di crisi». La mette così un alto diplomatico Ue per commentare quello che si è consumato lunedì: il clamoroso stop di Ungheria e Polonia sia al prossimo bilancio 2021-27 sia soprattutto al Piano di rilancio da 750 miliardi. Un veto che rischia di far saltare la gigantesca operazione di sostegno alle economie europee, Italia e Spagna in testa, proprio nel bel mezzo della pandemia e con una violenta seconda ondata in corso. L’occasione è stata lunedì la riunione degli ambasciatori dei Ventisette che aveva sul tavolo tre punti: l’approvazione della clausola che lega il versamento dei fondi al rispetto dello Stato di diritto; il via libera all’intero bilancio; e la luce verde all’aumento delle risorse proprie, necessario per consentire alla Commissione Europea di trovare sul mercato i 750 miliardi del Piano di rilancio, dopo il processo di ratifica nazionale, che a questo punto non può scattare. Il primo punto, su cui si votava a maggioranza qualificata, è passato con l’opposizione di Ungheria e Polonia, le quali a quel punto per ripicca hanno stoppato gli altri due, che richiedono l’unanimità.
Adesso, riferiscono fonti Ue, la cancelliera Angela Merkel si consulterà con i presidenti di Commissione Europea e Consiglio Europeo, Ursula von der Leyen e Charles Michel, sul da farsi. E una cosa a questo punto appare certa: la questione planerà sul tavolo della video conferenza dei 27 leader giovedì, che doveva essere interamente dedicata alla pandemia. Se non si troverà la quadra, il 2021 si aprirà con un esercizio provvisorio del bilancio e il Piano di rilancio resterà bloccato. Lo stop è arrivato pochi giorni dopo il faticoso accordo tra il Parlamento Europeo e la presidenza tedesca dell’Ue sul bilancio, accordo che ironicamente è stato accettato «nella sostanza» anche da Ungheria e Polonia.
Il veto era nell’aria: sia il premier ungherese Viktor Orbán, sia quello polacco Mateusz Morawiecki, avevano scritto ai vertici Ue per preannunciarlo. Il motivo è chiaro: l’irritazione per l’accordo tra presidenza Ue e Parlamento Europeo sulla clausola sullo Stato di diritto, chiesta a gran voce sia dai cosiddetti «Frugali» (Olanda, Austria, Svezia e Danimarca), sia dallo stesso Europarlamento. Polonia e Ungheria sono nel mirino Ue per il crescente autoritarismo, con l’attacco ai media, alle Ong, all’indipendenza della magistratura, contro entrambe è in corso una procedura in base all’articolo 7 del Trattato, per violazione dei principi fondamentali dell’Ue. «L’Ungheria - ha dichiarato Zoltán Kovács, portavoce di Orbán - ha posto il veto al bilancio, come aveva avvertito il primo ministro, perché non possiamo sostenere il piano nella sua forma attuale che lega i criteri dello Stato di diritto alle decisioni di bilancio. Non è stata l’Ungheria a modificare la sua posizione, la nostra linea è stata chiara fin dall’inizio». «In gioco - ha tuonato anche il ministro della Giustizia polacco, Zbigniew Ziobro - è il futuro della Polonia. Blocchiamo questo disegno per limitare la sovranità polacca».
Bruxelles è allarmata. «Sollecito - si è appellato il commissario al Bilancio Johannes Hahn - gli Stati membri ad assumere responsabilità politica e fare i passi necessari per finalizzare l’intero pacchetto». E intanto schiuma il Partito popolare, di cui il Fidesz di Orbán è membro sospeso. Lo Stato di diritto, ha dichiarato il capo gruppo Ppe all’Europarlamento Manfred Weber, «non riguarda un solo Paese, né riguarda l’Est o l’Ovest. È neutro e si applica a tutti: se uno rispetta lo Stato di diritto, non ha nulla da temere. Negare a tutta l’Europa i finanziamenti nel mezzo della peggiore crisi da decenni è irresponsabile».