Thailandia. Coppia gay vince ricorso si bimba. Una storia che apre gli occhi
Ma di chi è figlia Carmen? Di Gordon? Per metà sì. Della donatrice dell'ovocita? Per l'altra metà sì. Di Patidta? Se è madre colei che partorisce, come dice ad esempio la legge italiana, sì. Di Manuel? A sentir lui, certamente sì. Quattro genitori per una sola bambina, e se aggiungiamo gli immaginabili mariti della donatrice di ovociti e della madre surrogata arriviamo a sei, per tacere di zii, nonni, fratelli, cugini e fratellastri. Carmen in realtà è figlia del supermarket della vita e di un business senza scrupoli che considera un bambino alla stregua di un bene di consumo costruito su misura. Lo voglio, lo compro. In Italia una pratica simile è vietata dalla legge 40 ma tollerata dai tribunali, che assolvono le coppie rientrate in patria magicamente con un bebè in braccio "nell'interesse del minore". In attesa di sapere se in Parlamento si avrà il coraggio e la decenza di affrontare questo nodo etico rimosso da quasi tutti i partiti – mercoledì 27 la Camera discuterà alcune mozioni di condanna, poca roba, ma almeno è qualcosa –, la storia thailandese ci spiega con la forza dei nudi fatti cos’è davvero la maternità surrogata, che tipo di domanda la alimenta, quali interessi consentono che continui a prosperare indisturbata. Serve ancora altro a capire?